Scritto da Stefania Capelli

Ripercorro il mio secondo anno di formazione in ESF e cerco di collegarlo al viaggio sull’isola d’Elba, a questa grandissima opportunità che mi è stata data e che mi ha messo in crisi.

È stato un anno dedicato all’assimilazione e all’approfondimento di quelli che sono i valori di Educatori Senza Frontiere. Ho avuto modo, lasciando un po’ da parte l’entusiasmo della novità e le emozioni della partenza del viaggio dall’altra parte del mondo, di godermi appieno la formazione, di vivermelo come momento di interiorizzazione e sedimentazione di valori, di capire fino a che punto volessi fare mia la causa di essere un educatore educabile, viaggiante e scartino. Non è stato facile andare in profondità lavorando sulla propria somaraggine, toccando quelle parti più in ombra, prendersene cura e imparare a volergli bene. Proprio al termine di un anno così, in cui avevo deciso di non partire, in cui mi sentivo già abbastanza confusa, mi viene proposto il viaggio presso la Comunità Exodus sull’Isola d’Elba.

La paura di non essere all’altezza mi assillava, mi impediva di crearmi aspettative e di fantasticare.

Ecco che arriva il 20 luglio e alle cinque di mattina sono su un treno vuoto e mal ridotto diretta a Lecco dove avrei incontrato Stefano, uno dei miei compagni di viaggio. Era giunto il momento di partire e fare i conti con quello che mi avrebbe aspettato per le due settimane successive. Avevo uno zaino troppo pesante, una tenda troppo piccola, un diario in cui quasi tutte le pagine erano scritte e circa otto ore di viaggio prima di sbarcare sull’Isola. Ho cercato di fare spazio dentro di me, di farmi vaso per accogliere tutto ciò che avrei incontrato con il desiderio di non perdermi nessuna occasione, di sfruttare ogni opportunità al massimo, di lasciarmi educare e provocare.

La precarietà dell’isola d’Elba mi ha messo a nudo, non avevo scudi o maschere dietro a cui ripararmi. Avevo me stessa, giovane e incuriosita, affascinata e spaesata, con degli strumenti ma consapevole della poca esperienza. Mi sono messa in gioco e grazie anche ai miei compagni ho trovato uno spazio in cui sentirmi a casa ed esprimermi liberamente.

Le difficoltà e le sfide non sono mancate, ma a fine giornata riuscivo sempre a trovare degli episodi che davano un senso a ciò che avevo fatto durante il giorno. Andavo a letto sperando che la notte durasse il meno possibile perché non si poteva sprecare tempo, così prezioso per i nostri ragazzi e per noi.

Sono stata una seminatrice dentro e fuori di me. Mi rendo conto di quanto la formazione sia stata fondamentale per affrontare questo viaggio. Come sappiamo i semi piantati non diventeranno tutti frutti e anche quelli che lo diventeranno probabilmente rimarranno lontani dai nostri occhi. Non mi resta che riporre con fiducia queste due settimane nei chicchi che abbiamo seminato, sicura che arricchiranno un angolo della terra, ottimista che ciò che abbiamo costruito possa resiste alla tempesta e alla grandine.

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