Scritto da Francesca Oro

Questa mattina sembrava essere una di quelle tante mattine che cominciano con un TOC -TOC alla porta e un MANDROSO! (che vuol dire: Entra!), la prima parola della giornata e tu sei ancora addormentata e stai lì a chiederti: perché ho scelto di vivere in una casa che accoglie bambini di strada che ti svegliano alle sei della mattina?

Questa mattina sembrava una delle tante ma oggi la mia sveglia è stata un fiore. Oggi è la festa della mamma qui in Madagascar e per alcuni dei nostri bambini la mamma non c’è più, così uno fra loro ha pensato che evidentemente poteva festeggiare con me.

Questo gesto mi ha emozionato profondamente, oltre a ricordarmi il perché ho scelto di vivere in una comunità di bambini di strada che si svegliano e quindi Ti svegliano alle sei e una quarto del mattino.

Ma questo gesto mi ha sopratutto fatto riflettere ancora una volta su cosa significa essere un’ educatrice per questi bambini. Mi sono venute in mente le parole dei miei genitori, che spesso durante le discussioni mi ripetevano che essere genitori, e quindi educatori, è il lavoro più difficile e che l’avrei scoperto poi.

Diciamo che sto iniziando a scoprirlo come educatrice di questi bambini che spesso non hanno altre figure di riferimento familiare.

Essere educatrice significa, infatti, cercare di comprendere nel profondo chi si ha davanti, affinché si riesca a guidarlo in un percorso di crescita che rispetti comunque il suo essere.

Ma cosa è più difficile di questo?

Quante domande bisogna porsi ogni volta? E quanto tempo bisogna aspettare prima di ricevere le risposte? Quanto si scommette? Quanto si rischia?

Io in questo mio percorso da educatrice ho ancora tante domande senza risposta ma una cosa certa la so: questo è un lavoro fatto di volontà e di scelte, di inquietudine per i percorsi intrapresi ogni volta dai quali non si può avere subito un riscontro, è un lavoro fatto di persone, è un lavoro fatto di piccole soddisfazioni, tanto attese che quando arrivano ti ricordano il perché sei li.

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