Scritto da Daniela Sangiorgi

Ad un certo punto arriva Natale e porta una serie di clichè, più o meno comuni: frasi fatte, auguri sinceri o no, pensieri alle persone care e a quelle lontane.
Mi vengono in mente le 4 radici che don Antonio dice debbano essere a sostegno di ogni grande albero, che poi sarebbe ognuno di noi: l’amore, il dolore, il mondo e Dio. E penso: cavolo, queste sono proprio le 4 radici del Natale!! Perché l’arrivo di un bambino povero che nasce in una mangiatoia per animali ci mette di fronte all’amore, al dolore, al mondo e a Dio in un colpo solo! Che scombussolamento!
Lo stesso che, sono certa, ogni educatore senza frontiere ha provato la prima volta che ha visto un bambino al lato di una strada fangosa di un Paese tremendamente lontano. Ma poi, che fine fanno il male allo stomaco, quella sensazione di impotenza ed inadeguatezza, la consapevolezza dei propri limiti, l’insopportabile senso di colpa e di inutilità? Che fine fanno le lacrime e i sorrisi, le mani tese e i cuori spezzati? Dove la mettiamo la povertà quando poi torniamo a casa?
Ognuno forse la relega in un posticino nascosto e chiuso a chiave, per evitare di farci i conti e stare male. Ma, fatalmente, a Natale questa povertà ci bussa alla porta, anzi no, entra senza bussare, irruenta e forte come solo la povertà sa essere. Ed entra sotto forma di un bambino dentro ad una mangiatoia.
Essere educatore senza frontiere è un privilegio grande, sapete perché? Perché si ha la fortuna di vedere la povertà, di toccarla da vicino, forse anche di viverla in prima persona, se paragonata ai normali standard di vita occidentali. E grazie alla povertà si ha la possibilità di cambiare noi stessi, di essere persone migliori, o almeno di provarci.
Dicendolo con le parole di don Tonio Bello vi auguriamo che con il Natale nasca in voi il “desiderio di vivere poveri, che poi è l’unico modo per morire ricchi”, vi auguriamo di essere semplici ed in cammino e di andare lontano, in tutti i sensi possibili, perché lontano dentro e fuori da noi stessi tutto si guarda con occhi diversi.
E poi, cari ESF, fate festa, siate capaci di farla, con incontri autentici, momenti di condivisione con la famiglia e gli amici cari, con attimi di silenzio e parole, con il tempo della festa da offrire a voi e agli altri.

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