Rwanda, il Paese delle mille colline allocato quasi al centro dell’Africa nella regione dei grandi laghi, e’un luogo che si presenta come molto lontano. Le distanze si possono misurare in due modi: calcolando il tempo che si impega per raggiungere un nuovo spazio o comparando le differenze culturali che ci distinguono.
Ma quando parliamo della cultura di un popolo occorre stare molto attenti. Spessso si incorre nell’errore di pensarla come se fosse una cosa congelata e immutabile. In realta’ la cultura e’ si condivisione ma si alimenta e si arricchisce soprattutto nello scambio. Noi ci chiamiamo educatori senza frontiere e sulla frontiera lavoriamo. La frontiera e’ l’incontro tra due mondi, e’ dove avviene lo scambio, il meticciamento. Io imparo qualcosa da te e tu impari qualcosa di nuovo da me e poi non saremo piu’ uguali a prima ma saremo qualcosa di piu’. Lo sforzo di capire l’altro il porsi le giuste domande, mai dare niente per scontato e’ il nostro modo di procedere, la via, la strada da tenere sempre illuminata . Ma alle volte anche tutto questo non basta, occorre un profondo atto di umilta’. Sappiamo di quanto sia difficile esportare un modello educativo in paesi altri. Sappiamo che il nostro modello non e’ l’unico possibile e non vogliamo porci come moderni colonizzatori. Ma il rischio del rapporto con l’altro quello si che ce lo vogliamo prendere anche se, come sta accadendo qui, l’altro alle volte sembra non ascoltarci. Poi pero’ quandi si viene a contatto con la poverta’, quella vera, con i bambini dell’orfanotrofio o con la fila interminabile di persone che percorrono chilometri per prendre un po d’acqua tutto viene di nuovo rimesso in discussione, rimescolato. Ed e’ allora che ci si rende conto che diviene importante semplicemente l’aver strappato un sorriso ad un bambino, perche’ significa aver seminato qualcosa. Non sappiamo quali saranno i frutti ma sara’ come un cristallo nascosto che quando trovato potra’ attirare altre pietre preziose, capolavori unici di umanita’.

Andrea Bertini

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