Davanti allo specchio, ma lo specchio non rifletteva me stessa. Ero seduta su una piccola sedia di legno, precisamente davanti ai miei occhi gli occhi di Freddy, seduto sul letto, più magro di quanto avevo immaginato. Era felice di vedere Rosario, ma non aveva la forza di alzarsi e non riusciva neanche a salutarci. Ero lì davanti a lui interdetta, con un senso di colpa che mi stava crescendo dentro, guardavo il mio corpo, i miei rotoli di ciccia e poi guardavo lui, i solchi del suo viso, le sue gambe grandi quanto i miei polsi.
Mi tocco le dita piene di buchi fatti dai controlli della glicemia che posso farmi ogni volta che ne ho bisogno, mentre lui, mi spiega Rosario, può farsi un controllo ogni quindici giorni. A quell’affermazione ho sentito i miei occhi uscire dalle orbite, quella notizia era inverosimile… come si può curare il diabete, se il controllo della glicemia è alla base della cura?

Poi il mio sguardo si sposa sul tavolino di legno accanto a me, vuoto. Penso alla mia stanza, al comodino vicino al mio letto, sempre pieno di bustine di zucchero, che per me sono indispensabili come l’aria e lì su quel tavolino, di fianco al letto di Freddy, non una bustina di zucchero, non un disinfettante, nulla, i miei occhi sentivano il panico.
Subito dopo ecco nei miei occhi crescere la rabbia, per una mamma troppo superficiale, che mi ha mostrato la scatoletta lercia che avrebbe dovuto contenere il necessario per punture e insulina, e invece c’era solo una siringa con l’ago al vento e una boccetta di insulina che sembrava essersi condensata. E ho provato disgusto perché di diabete non si muore così giovani, perché il diabete non può rovinare la vita di un ragazzo tanto normale, perché il diabete ha tutte le cure per poter condurre un vita normale e serena.
Senso di colpa, paura, rabbia, disgusto; i miei occhi si sono guardati intorno e in quell’istante tutto questo si è tramutato in consapevolezza di una realtà che non poteva essere altrimenti, perché quella casa era un buco, perché quella casa un frigo non ce l’aveva, perché quel ragazzo una macchinetta personale non poteva possederla, perché Freddy un dottore che lo segue non ce l’ha.
E in quella stanza, su quella sedia, i miei occhi guardavano quelli di Freddy e mi sono sentita davanti a uno specchio, ma lo specchio non rifletteva me stessa.

Giulia Fiaschetti

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