Scritto da Gabriella Ballarini

Ieri ero in Africa, oggi sono a Milano. Strani contorni per una piccola storia, la storia di un viaggio che ha attraversato i miei occhi e che si fermerà, forse, da qualche parte.

Ieri ero in Africa, a Nakuru, in Kenya, dove le strade sono di polvere e poi diventano di fango e nessuno ha tempo per arrabbiarsi se rimane impantanato, l’acqua è una benedizione, il tempo è infinito, è una risorsa di cui disporre gratuitamente che ci aiuta a capire la nostra umanità. Il tempo del matatu, che devi aspettare che sia pieno e lo fai nella stazione dei matatu che ha una sua logica, ha i suoi punti di ristoro, ha i suoi ristoratori nomadi, i suoi odori stanziali, Gorofa, Gorofa e poi la musica che ti accompagna e tu che cerchi di scattare qualche foto con o senza macchina fotografica. Nakuru è la città che ci ha adottate in questi giorni africani, ci ha spaventate e travolte con le sue biciclette, gli ape car, gli asini e le urla e noi lì a cercar di capire in che senso andavano il traffico.

Ieri ero in Africa e quasi ogni mattina mi preparavo per andare dai bambini al drop-in. Preparavo la mente per accettare che io arrivassi da casa mia e loro arrivassero dalla strada. Preparavo il mio sguardo perchè contenesse passione e gioia e non mestizia e dolore, il sapore dell’ingiustizia è così forte qui nel Kenya che mi ha spalancato la porta che a volte nasconde tutti gli altri sapori e tu ti accorgi che un bambino con la bottiglietta di colla in bocca lo incontri ad ogni angolo e che non devi scappare, non devi distogliere lo sguardo.

Ieri ero in Africa e mi chiedevo come potesse essere possibile l’idea stessa del ritorno, non capivo, non ero preparata, ogni centimetro di savana mi sembrava troppo grande per essere tralasciato, ogni strada che non avevo ancora percorso, ogni dubbio che non mi ero ancora tolta. La vita condivisa con le bambine della casa e con i bimbi della comunità vicina, la strada infinita di fronte casa che non so ancora dove portasse.

Ieri ero in Africa e mi piaceva l’idea di avere anche io qualche treccina di troppo sulla testa, così ho dimenticato il tempo e sono andata al salone di bellezza, sei metri quadrati, coperto di polvere e capelli finti, ogni treccina una domanda, ogni frase conteneva la parola “bianco” e i bambini del piccolo quartiere si affacciavano a guardarci e qualcuno piangeva anche, un bianco così da vicino non l’avevano visto mai. Era giorno quando siamo entrate, notte da non trovare la porta di casa all’uscita, mi hanno regalato una confortante perdita di tempo.

Ieri ero in Africa e mangiavo ogni giorno polenta bianca e verdure, in quantità perchè correvo e giocavo e a 32 anni lo sento anche io che non ne ho più 15, ma quando sei lontana dalle tue convenzioni diventi anche tu senza tempo e nessuno riesce a darti un’età, tu che ti vesti sempre uguale e che sei così goffa e ti manca il senso del ritmo e scopri che tutti attorno a te ce l’hanno e allora magari speri di impararlo anche tu, nonostante ti si incrocino i piedi ad ogni danza e anche quando ti guardano e ridono di gusto, tu lo sai che c’è una speranza anche per te, mzungu.

Ieri ero in Africa, oggi sono tornata.

 

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