Se esistesse il teletrasporto farei una legge ad personam affinché le persone che mi vogliono incontrare non possano utilizzarlo. Mi piace pensare che chi mi vuole vedere possa anche sentire dove sono, l’aria fuori di casa, il colore variabile del marciapiede, la voce del tizio all’angolo che ferma tutti chiedendo qualcosa in una lingua incomprensibile.
I luoghi sorprendono, un parcheggio anzi, una piazza.
Ci sono dei ragazzini delle medie e dei grandi che si azzuffano e urlano in mezzo a delle pozze d’acqua sotto una pioggia cieca, sul terreno di mattoncini rossi rotola una palla, frenetica, vola via, la porta non esiste le squadre neppure tutti corrono per calciare e per ritornare di nuovo a inseguire.
Ognuno è convinto di star vincendo la partita.
Sotto un telo della strumentazione che la sera, sperando che il tempo migliori, servirà a dei gruppi per suonare.
Un parcheggio anzi, un palco. Ovviamente la palla finirà in mezzo agli strumenti…
Lo stradone che porta ai campi dove si compra, anzi, un luogo in cui conversare un poco.
Le luci interne di un vecchio camper non illuminano molto, soprattutto se la batteria è quasi scarica, nei finestrini riflettono la sera.
Il divanetto non fa stare comodi gli ospiti ma qui è sempre meglio del freddo che fa fuori ed è molto, molto più lento.
Un sacchettino contenente degli oggetti, una siringa pulita, dell’acqua distillata, della crema per quando c’è un’infezione passa da una mano all’altra, insieme con una brioche. “Grazie ragazzi, se non vi incrociavo stasera era un casino, mi facevo con la spada di …, ma di casini ne ho già abbastanza, ci manca solo il casino che mi ammalo anche io, poi come vado a lavorare?
Oh, la prossima volta che vengo su prendo solo la brioche”
Sanno tutti che non è vero, fuori il tempo è troppo veloce per dare ascolto alle proprie parole.
Un bar anzi, una sala riunioni.
Il rumore del cucchiaino appoggiato su una tazzina, l’immancabile tremolio della mano nel portarla al tavolino, tre persone discutono animatamente, “non è possibile, andiamo in piazza a prendere Mario, lo portiamo ai servizi sociali e costringiamo il comune a dargli la residenza, sta qua da sei anni! così poi può avere la tessera sanitaria, si fa curare le piaghe, poi facciamo la richiesta per l’alloggio fisso al dormitorio poi lo mettiamo nel progetto di inserimento lavorativo poi..”
Un maciapiede anzi, una casa.
Le macchine passano, non si stancano di passare, Mario non si stanca di vederle passare, da anni conosce il mondo solo dalla prospettiva di quel marciapiede,
sa dirti che alle due meno un quarto ogni Martedì e Giovedì un aereo lascia la scia di fianco al campanile della chiesa, sa dirti che la signora Rosetta passa li davanti con il passeggino fra una decina di minuti, sa dirti che alle sette arrivano quei ragazzi lì, che gli danno la mano, nonostante non sia proprio pulita, anzi, è proprio sporca, e puzza, gli chiederanno come stai. “Sto seduto!” sarà la risoposta.
Pensano di potergli far avere una casa.. mha, illusi.. l’importante è che ci siano, alle sette, se no’, io, a chi lo dico che ora il cartone del vino lo ho buttato nel cestino e qui non c’è più così sporco?
Se no’ io, qui, chi sto aspettando?
Il bello sta nel farsi incontrare dai luoghi, nel sorprenderli a nostra volta.
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