Scritto da Ludovica Pascoli

20 aprile, un’email, poche parole, “gruppo Bolivia”, nello stomaco mille emozioni: tra tutte le destinazioni era quella che temevo di più, non so perché, forse non mi sentivo all’altezza del progetto.

Ora, 20 luglio, sono qui, a Riberalta, nel cuore dell’amazzonia, con una media di 35 gradi e con molta umidità. Al nostro arrivo, però, le temperature sono calate di almeno 15 gradi a causa dell’arrivo del vento della Terra del fuoco, la Patagonia, ma che di caldo ha solo il nome.

Sono a metà della mia esperienza, con uno zaino più grande di me, gia fatto e disfatto due volte: prima tappa Cobija, sempre con  le mie compagne, fondamentali in questo viaggio, in questa terra rossa, dalle case o per meglio dire, baracche dai colori dell’arcobaleno: un po’ blu, fucsia alcune celesti, verdi e gialle. Sulle strade tantissime moto, in sella tre, quattro o anche cinque persone tra cui bambini piccolissimi, le scuole sono edifici in mattoni a vista con aule aperte,su grandi spazi verdi, progettate per le alte temperature.

I giorni trascorrono e la velocità con la quale passano le ore è sorprendente. Queste sono scandite da incontri con insegnanti, genitori, animatori e adolescenti, alcuni facili, altri un po’ meno, che lasciano un segno. I giovani soprattutto, con i loro sogni e le loro paure, che ti guardano con quegli occhi neri, così prodondi, con grande curiosità, ti confessano attreverso i loro scritti i segreti più nascosti, ti abbracciano e ti ringraziano per averli fatti sentire speciali per il tempo che siamo stati assieme e per averli ascoltati.

Molte sono le difficoltà che questi ragazzi devono affrontare, un po’ quelle dell’età, altre derivanti dalle loro storie. Bambini e ragazzi che non riescono a dar voce ai loro sentimenti, forse perché non abituati a condividere con gli adulti i loro vissuti, le emozioni, e dentro loro una voce che grida e supplica di aiutarli.

Ragazzi che hanno vissuto abbandoni, mal nutriti, altri che si sono trovati a gestire un figlio in tenera età. Storie che mi fanno sentire impotente, come quella di un’animatrice che abbiamo incontrato a Cobija.

La ragazza ha ventiquattro anni, la mia età, ed è madre di due bambini, il maggiore ha dieci anni, l’altro è più piccolo. Il suo sogno è quello di riunire il nucleo familiare e quando parlava i suoi occhi erano pieni di lacrime e un nodo in gola le impediva di parlare. Aveva quattordici anni quando rimase incinta, una bambina, a cui le è stata privata la bellezza di vivere l’adolescenza come altre ragazze della sua età, ma che si è trovata in poco tempo a dover gestire, in solitudine, responsabilità tipiche degli adulti.

Come questa, altre sono le storie che ci portiamo a casa al termine degli incontri e quando sono partita non pensavo che questo viaggio potesse stravolgermi così tanto, in così poco tempo.

Stanno sorgendo in me quesiti a cui non riesco a trovare, in questo momento una risposta, sto mettendo tutto in discussione: il mio futuro ma soprattutto me stessa.

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