Pochi giorni fa, nel cuore di Roma, quattro bambini hanno perso la vita in un campo nomadi abusivo. Dalla mattina seguente la parola d’ordine è stata “sgomberare”.
Mi guardo bene dal cadere nella polemica politica e cerco di sfuggire al cosiddetto buonismo ma sgomberi, nei quattro anni che ho lavorato per le vie della Capitale, ne ho visti tanti e oggi la mia voce viene fuori senza troppi sforzi.
Una mattina di dicembre, mi trovai di fronte ad uno dei campi più grandi che io avessi mai visto, sulle rive del fiume Aniene… le notizie ufficiali dicevano che quella baraccopoli era abitata da un centinaio di persone, ma quella mattina, al nostro arrivo, molti erano già andati via. Chi abitava lì? Troppo facile calmare l’indignazione pronunciando una semplice piccolissima parola: “rom”; eppure la notizia è apparsa così sui giornali. Quel campo, come si può immaginare, era abitato da molti uomini e donne, da anziani e bambini, diverse le nazionalità (inclusa quella italiana per intenderci), diversissime le storie e altrettanto diversi gli stili di vita; se proprio dovessi scegliere un aggettivo per descriverli tutti, allora direi: poveri. I poveri veri, quelli che esistono anche nel nostro Paese e che nessuno vuole vedere, di cui nessuno vuole parlare. Un anno prima ero stata a Nairobi, e gli abitanti delle baraccopoli che ho visitato non mi sembravano troppo diversi da quelle persone che avevo di fronte a me… Quel giorno, a Roma, ho vissuto (come tante altre volte mi è capitato in quegli anni) una grande vergogna per quello che stava accadendo: cani, gatti e galline hanno trovato una nuova casa, grazie ai volontari delle associazioni animaliste, ma dei poveri veri si può dire soltanto che si sono dispersi.
Forze dell’ordine, ruspe in azione e baracche rase al suolo, in quei mesi, servivano per dare una qualche idea di sicurezza ai cittadini romani dopo la tragica morte di Giovanna Reggiani. Allora come ora.
La sicurezza. Questo si che ci interessa, in fondo non è mica colpa nostra se esistono i poveri e se tra loro ci sono ladri e persone violente. Sgomberiamo i campi, controlliamo le frontiere, ci togliamo scarpe e cinture prima di entrare in aeroporto e ci sembra che, in qualche modo, tutto possa risolversi per il meglio. Almeno per quanto ci riguarda.
I bambini di etnia rom che abitano i campi abusivi sono stati definiti, in questi giorni, “invisibili”, e forse in parte lo sono per i nostri sguardi superficiali e per la nostra società che ormai rischia di preoccuparsi solo di chi ha la forza o l’astuzia di pretendere un aiuto. Il paradosso che ho sperimentato a contatto con le persone più deboli è che chi è più povero (e non solo in termini economici) spesso non riesce neanche a chiederlo un aiuto. Bambini, anziani, malati, poveri… i più fragili fra loro non hanno posto nella nostra cultura di adulti medio-borghesi che trovano una buona motivazione per le sofferenze degli altri, e la parola giusta in questi casi non è invisibili (sono uomini in carne e ossa) ma ignorati!
E allora continuiamo a sgomberare visto che ormai siamo quasi esperti, perché “occhio non vede cuore non duole” lo sanno tutti, ma attenzione perché a rischiare di rimanere sgomberare sono per prime le nostre coscienze!
Irene Bisignano

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