Scritto da Alice Vignodelli

Tagliare a pezzettini le verdure per fare la pizza.

Dovrebbe essere un’azione facile, lo faccio anche a casa. La pizza poi è sicuramente un piatto più italiano che malgascio, dovrei riuscire a padroneggiare bene la situazione.

Di fianco a me ci sono due ragazze. Sono all’interno del carcere di Fianarantsoa e dietro alle sbarre di una finestra taglio peperoni assieme a loro che da giorni, mesi o forse più guardano fuori. Ora stiamo facendo questo lavoro assieme e non importa da dove veniamo, quanti anni di differenza abbiamo o che paesaggio vediamo abitualmente fuori dalla stanza che abitiamo, perché ora stiamo tagliando peperoni per la pizza.

Mi sembra poca la distanza che ci separa. Non stoniamo l’una di fianco all’altra, le nostre azioni si completano, in silenzio ed in maniera armoniosa ognuna di noi ha trovato il suo spazio, compreso quello dell’altra e sta contribuendo alla creazione di un prodotto comune. Sono contenta di essermi riuscita ad inserire, di essere parte, non solo spettatrice.

Poi me ne accorgo. Noto il difetto in questo disegno perfetto che credevo di vedere. Da quando abbiamo iniziato a tagliare i miei pezzi vengono allontanati da quelli delle altre. Una ragazza li allontana dal mucchietto comune.

Diciamo che in cucina non sono mai stata brillante. Il fatto che io non abbia distinto peperoni e peperoncini ma li abbia tagliati ed ammucchiati assieme ne è una prova. La ragazza semplicemente riparava il mio errore separando i due. Nulla di tragico o irrimediabile ma rappresentava per me una terribile sbavatura d’inchiostro nel mio capolavoro. Certo le macchie possono essere corrette e modificate, così da sembrare parte del disegno, come io posso raccontare scherzando della mia distrazione.   Ma la distanza è ricostruita. Perché non mi ha dato una gomitata? Avvertita del mio errore? Ho ricominciato a sentirmi inadeguata, il contatto creato era sparito.

Ero stata accolta, avevo provato ad entrare in punta di piedi, ed avevo finito col fare frastuono. Uscivo goffa e ridicola e tentavo di rincorrere quell’attimo, quel filo, quella sensazione che mi aveva portato a sentirmi parte. A condividere un’azione, un momento, un pezzettino di strada. Non per imposizione, ma perché era semplicemente bello stare di fianco senza sentirsi invasori degli spazi degli altri. Nessuno però mi aveva corretta, questo allungava le distanze.

La riflessione parte da una sciocchezza, perché comunque la pizza è stata finita, mangiata ed apprezzata. Ma a me rimane il dubbio di quanto lo spazio che ho occupato fosse mio per reale desiderio di condivisione o per prassi. Perché l’accoglienza è un dono fragile che deve essere meritato, non solo sfruttato.

Condividi su: