Scritto da Federico Fattorello

Sono le tre e tre quarti, suona la sveglia. Ieri è stata una giornata intensa, quindi mi ci vogliono una decina di secondi per mettere a fuoco. Cerco di aguzzare l’udito, per poter sentire i primi rumori del mattino, ma niente, ancora nessun movimento. Mi metto un paio di calzoncini corti e una maglietta, esco dalla stanza e in quel silenzioso buio i grilli davano spettacolo. Si intravedeva qualche anima nell’oscurità che passava di stanza in stanza, ma ancora nessun segno di risveglio generale. La luna è grande, si può dire che dopo aver dato il tempo agli occhi di abituarsi si potevano delineare i contorni di quasi tutti gli oggetti e le cose che c’erano. Aspetto ancora un po’ prima di scendere. Fino a che non suona il campanello del cancello, a quel punto capii che ci dovevamo essere. Entra un tizio con un cappelletto buffo e tra le mani una bicicletta che, appena può, appoggia sul muretto del centro. Il guardiano, un ragazzone di una venticinquina d’anni lo saluta calorosamente, anche se a bassa voce, e in quel momento scendo le scale, forse perché incuriosito dal soggetto appena entrato. Rimango in disparte mentre i due si scambiano parole sottovoce in malgascio. Si avviano entrambi verso la sala accanto al magazzino, io provo a seguirli, fino a quando Bubba, il cane del villaggio, mi inizia a ringhiare. Ancora non avevo fatto amicizia con lui. Il guardiano si gira, torna indietro, caccia il cane e nonostante non ci sono state parole da parte di entrambi, gli sguardi e gli occhi, anche con quella poca luce hanno sottointeso tutto. Non c’era bisogno di dirsi niente, era tutto chiaro. Arriviamo in quell’enorme sala, che piano piano si riempiva di ragazzi, tutti con un’uniforme uguale nera e rossa, un po’ alla Bruce Lee. Il maestro si cambia, si toglie il cappello, si da un’aggiustata ai capelli, sale su un palchetto che sembra essere messo lì quasi apposta e inizia a dare il tempo correndo sul posto rigorosamente a occhi chiusi. I ragazzi lo imitano alla perfezione se non fosse per gli occhi aperti. Io provo a fare lo stesso. Passa un’ora e mezza; resoconto: siamo tutti sudaticci, stanchi e affamati. Manca poco alla colazione e mentre aspettiamo iniziamo a giocare un po’ come fanno i cuccioli per vedere chi è il più forte. Tutto questo sotto i ghigni e le risate del maestro jean claude, che ci guarda dalla parte opposta delle stanza e non riesce a mantenersi disciplinato e autorevole come era stato da quando era entrato. Suona il triangolo, è ora di mangiare. Entriamo nella sala dove si mangia, ci sediamo e ci prepariamo a gustare uno dei miei piatti preferiti, mais e zucchero! Speciale. Considerando che era la mia prima colazione con i ragazzi in quanto ero arrivato da un giorno o due ero stato fortunato al primo colpo. Non sono mai stato un grande scrittore, e pensare a cosa potessi riferire l’articolo non è stato facile! Ho pensato di descrivere uno dei momenti iniziali della mia breve, ma intensa esperienza al centro. Spero possa essere utile a chiunque vada o torni ad ambalakilonga, o magari possa essere utile a chiunque voglia ritornare, almeno con la mente, in quel posto così lontano.

 

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