Scritto da Gabriella Ballarini

Notte di Capodanno. 31 Dicembre 2013. Memorie.

Nel pomeriggio Claudia e Simona preparano le verdure e poi anche il riso. Il contorno per il maiale e il maiale al forno, che siederà accanto al contorno e potremo mangiare per festeggiare. Alle diciassette è notte anche in Honduras, gli auguri in Italia li abbiamo già fatti, ora si festeggia qui.

All’improvviso, però, il buio diventa più buio perché alle venti la luce va via, “non ci sarà per due ore” dice qualcuno, “l’hanno annunciato alla radio” aggiunge qualcun altro.

Buio, silenzio, un silenzio che si alimentava. La luce di una candela che illuminava appena il piccolo mappamondo sulla scrivania. Un silenzio prepotente, rasserenante, umido, che uccide la festa, le nega la luce, le toglie la vista, silenzio che afferra l’udito e lo sprona, lo invita a liberarsi, finalmente. Senza preavviso, come un colpo di cannone in una battaglia altrui, parte la musica di una batteria e l’educatore mi dice: “se la luce non c’è, ce la mettiamo noi”.

Io, troppo impegnata a filosofeggiare sul buio, non mi ero accorta della possibilità di essere luce, di uscire dal silenzio, di festeggiare. Inizia così la nostra festa, ridiamo di noi, ci infiliamo una parrucca, corriamo per la stanza, recitiamo a soggetto. Poi la batteria smette di suonare e i ragazzi cominciano a dire, “dai, vai in mezzo e raccontaci qualcosa”, se lo dicono tra loro.

C’è una sola luce, che illumina il centro della stanza, io mi faccio gomitolo, seduta sopra il tavolo. Uno per uno i ragazzi sfilano sotto la luce, si siedono come vogliono, al centro della stanza. Ognuno con una storia da raccontare. Rimango ferma, immobile, tutto il tempo, per tutta la durata delle parole, quasi fossi sola, quasi fossi tornata di fronte alla candela, una candela troppo corta, che al mio ritorno sarà solo un ricordo di luce.

Torna la corrente, mangiamo, tra canti e ultimi preparativi divoriamo tutto ed ogni cosa. È finalmente mezzanotte, diamo fuoco al viejo (l’anno vecchio), buttiamo nelle fiamme le cose che non vogliamo tornino più, tutte le paure, i brutti sogni fatti di notte e gli incubi vissuti di giorno. Antonio brucia anche la valigia che ha costruito, ci sono troppe ferite. “Se posso, io la brucio”, mi ha detto il giorno prima.

Chiedere il permesso per bruciare il proprio passato.

La guardavo la mia busta, mentre bruciava. Che da bianca è diventata gialla, poi marrone poi fuoco, brace e finalmente cenere.

Lo guardavo il mio anno passato mentre bruciava lentamente e credo di aver sorriso, così, per proteggermi. Il fuoco si addormenta con rapidità e ci sciogliamo in un abbraccio.

E poi,

all’improvviso,

era buio

e faceva silenzio.

 

 

 

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