Scritto da Francesca Cervo (Servizio Civile)

Il cancello Blu separa la comunità di Ambalakilonga da tutto ciò che è fuori. Siamo in una via quasi desolata, per arrivare al centro ci vuole un po’.

Quando esci dal cancello Blu, c’è la strada sterrata del quartiere più povero della città. Ankofafalahy, inizialmente può spaventare, le verdure vengono vendute a terra al cliente di fiducia, c’è un via vai di ragazzi che invece di essere a scuola trainano il baramba carico di tutto ciò che questa terra può offrire da vendere. C’è l’ubriaco di turno che ti chiede qualcosa che tu non capisci, i bambini che anche se sanno come ti chiami continuano a chiamarti “vasà”. Il continuo slalom che devi fare tra il fango e i camioncini che qui chiamano taxi, modificati appositamente per cercare di far entrare più persone possibili a pochi centesimi di euro ma che qui valgono una giornata di lavoro.

Arrivati nella città nonostante la confusione assordante dei taxi, delle macchine, delle persone che urlano, tutto rimane in silenzio. E’ un silenzio soffocato che vorrebbe dire tanto e forse urlare ma che non riesce.

Oltre il cancello Blu c’è una città invisibile perché non riesce a parlare e a farsi sentire e per comprenderla davvero bisogna osservare oltre.
Oltre i cumoli di immondizia buttati nella strada da chi cerca qualche rimasuglio per mangiare.
Oltre quel carcere che contiene più persone di quante ne possa ospitare.
Oltre quell’ospedale isolato. Non ci si deve soffermare a vedere la carne appesa ad un bancone e sventolata di continuo per allontanare le mosche. Non farti troppi pensieri sul perché ci sono tantissimi venditori di ogni genere di cosa in strada. Vai oltre quella scena che vedi del bimbo di strada che chiede i soldi ad un malgascio che sta in macchina e a te delle caramelle.

E’ una città che fa rumore per tutte le domande che ti pone e fa silenzio per tutte le risposte che riesci a darti. Se vuoi osservare davvero, chiedi a chi era straniero in questa città ed ora può raccontarti quello che riesce a vedere oltre.

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