La lettera ad un amico, è tutto quello che ho scritto di questo viaggio.
Scritto da Gabriella Ballarini
Vorrei raccontarti questo mio breve viaggio in Palestina, ma sembra che io proprio non ci riesca.
Cercare di comprendere questo luogo è come ostinarsi a pulire la terra dagli angoli delle strade.

Camminavo, stamani, nella parte cristiana di Gerusalemme vecchia, guardavo a terra e facevo nella mia testa una specie di inventario.

Ho visto una sedia rotta, un sacchetto di plastica, del pane morsicato, rivoli di urina e poi ho visto gli angoli, tutti quegli angoli che tentavo di pulire con il pensiero, come chi non sa e vuole distrarsi.
Volevo trovarmi qualcosa da fare, ostinarmi negli angoli, nascondermi, rifiutare la morte, rifiutare l’assurdo, rifiutare l’ingiustizia.
Camminavo e pensavo: come sono banale, io.
Le strade erano così pulite, ma io volevo fare il mio inventario, mi volevo dare il mio compito, mettermi lì con una spazzolina e pulire con l’arroganza di chi sa ed è subito operativo.
Io non ce la faccio a capire, mi devo distrarre pensando di poter pulire gli angoli, come fanno gli altri.
Per pulire un angolo devi metterti in testa che le misure sono precise, 90 gradi oppure anche meno. Arrivando in un angolo prima c’è ossigeno, aria fresca e apertura, ma addentrarsi nell’angolo significa perdere la luce, l’ossigeno, finire senza via d’uscita, senza possibilità.
Si può passare la vita così?
Descriviamo come esistenza l’incamminarsi verso una strada senza uscita?
Aggiungiamo poi che per incamminarsi bisogna fermarsi di tanto in tanto. Per andare verso una strada divisa, infatti, è necessario anche chiedere il permesso di passare, uscire, rientrare.
Vorrei prendere una cassettiera, una di quelle grandi che ad ogni cassetto puoi mettere un’etichetta, ad ogni etichetta vorrei smentire una delle mie certezze, vorrei catalogare le mie paure, riordinare tutti gli angoli.
In un cassetto metterei il futuro, in uno il muro, nel cassetto in alto metterei tutte le religioni, in uno sicuramente metterei l’umanità e dentro al cassetto dell’umanità metterei quegli arnesi che separano, da una parte posizionerei le cose rubate, dall’altra quelle dimenticate e nell’angolo il dolore.
Eccomi, sono di nuovo nell’angolo, ero così felice di mettere finalmente ordine e mi ritrovo da capo, nell’angolo.
Volevo veramente raccontarti quello che c’è qui, ma, come vedi, rimango sempre bloccata, mi impiglio, mi perdo, continuo a guardare a terra.
Ma c’è una cosa ancora che ti voglio dire. Ieri ho incontrato un’assistente sociale palestinese araba, io traducevo, mentre lei parlava e c’era una vita così grande dentro di lei che ad un certo punto mi sono commossa, mi si è spezzata la voce, si è rotto l’angolo, come durante un terremoto che per un attimo mi ha liberata.
Poi sono arrivata qui, un nuova intensa riunione, sono uscita e ho ricominciato a sognare di esser capace di pulire gli angoli, tutti gli angoli, di tutte le strade.
Condividi su: