Scritto da Giovanni Maria Agostino

Ho vissuto a Casa Juan Pablo, un centro di riabilitazione per ragazzi tossicodipendenti nella città di El Paraiso, a sud dell’Honduras. Ragazzi coetanei, ragazzi come me. Ragazzi con un passato che sembra racchiudere solo dolori e sofferenze. Alcune delle loro storie sembrano dei film, e invece non lo sono: è tutto vero.

“Come è andata?” ti chiedono tutti quando rientri. Io provo a rispondere, ma la verità è che non so bene cosa dire, e soprattutto come dirlo: due mesi in un Paese che sta dall’altra parte del mondo, vivendo esperienze altrettanto dell’altro mondo. Non è vero che il tempo è volato. A volte i tempi nelle comunità possono essere lenti, le giornate possono sembrare lunghissime; però ad un certo punto ti volti indietro ed è già tutto finito. Temo di non saper raccontare questa esperienza, nè esprimere a parole tutto ciò che ho vissuto. E’ come se ne fossi geloso e volessi tenerla tutta per me, quasi che a raccontarla avessi il timore di sporcarla, banalizzarla, sminuirla.

Provo tuttavia a tirare fuori alcuni “pezzi” di storia, dei flash che fanno luce per un attimo su quanto ho vissuto.

C’è un detto nelle strade honduregne che recita: “Non è uomo, chi non si è scopato un altro uomo”. Chi ha vissuto per la strada sa che per riuscire ad ottenere denaro è stato in grado di fare qualunque cosa, anche prostituirsi (con un altro uomo appunto), e chi nega questo è un bugiardo e dunque non è uomo. Parola di B., che nelle periferie di Choloma e Tegucigalpa ci ha vissuto ed è dovuto sopravvivere.

Quasi tutti questi ragazzi non hanno realmente avuto un padre. Quasi tutte le madri hanno dovuto crescere i figli da sole. Quasi tutti questi ragazzi hanno maturato l’arte di arrangiarsi fin dalla tenera età. Arrangiarsi è stato spesso sinonimo di furti, spaccio, prostituzione, solo per raccattare qualche soldo, da investire poi in droga così da non pensare, almeno per qualche attimo, alla vita vuota che si sta vivendo. Poi l’effetto svanisce e la voglia aumenta, si crea una dipendenza e sei già dentro un vortice che non riuscirai ad interrompere da solo. “A 11 anni ho cominciato a fumare Marjuana, a 13 ero già dipendente dal crack.” mi dice M. che, cresciuto in uno dei quartieri più pericolosi della capitale, prova a spiegarmi anche la realtà sociale in cui ha vissuto: “Nel mio Barrio a comandare sono i bandijeros della Mara 18. Con loro non si scherza, mia madre è stata uccisa per motivi legati alla droga e alcuni miei fratelli sono entrati dentro la banda. Per entrare in queste bande prima devono provare la tua lealtà. Le regole sono chiare: devi uccidere chiunque ti ordinino di uccidere…”.

Poi c’è C., il più piccolo dei muchachos della Comunità. E’ il più timido di tutti. Mi incuriosisce, perché mi guarda spesso ed è come se volesse parlarmi, ma poi si limita a dire il mio nome, a sorridere ed allontanarsi. Mi incuriosisce ancor di più, perché la sua timidezza sparisce quando è a contatto con gli animali, anzi in un primo momento è impressionante vedere come comunichi meglio con loro che con le persone. Poi ti raccontano la sua storia e tutto diventa più chiaro: ha effettivamente trascorso la maggior parte della sua giovane vita più con gli animali che con le persone, perché abbandonato a sé stesso in una casa della montagna.

Sono molte le storie che si incrociano a Casa Juan Pablo: storie di vita in cui le sofferenze e gli errori del passato lasciano spazio alla voglia di rinascita e di cambiamento.

Storie con cui si è incrociata la mia vita… e poi ci sono anch’io, che sono partito e mi sento ancora in viaggio pur essendo già tornato a casa: quando ti trovi in contesti e dinamiche completamente diverse dalla tue, scopri parti sconosciute di te; scopri i tuoi scheletri nell’armadio; ti scontri con te stesso, con le tue fragilità, ma anche con le tue sicurezze. E ti accorgi che il viaggio più lungo lo stai facendo dentro di te, che hai accettato il rischio di affrontare il tuo “io” ignoto. Perché troppo spesso nella mia vita provo a nascondere o addirittura seppellire le mie emozioni, ma ci sono esperienze come quella in Honduras, che senza chiedere il permesso ti travolgono, ti svuotano e ti riempiono di nuovo. Allora scopri che a volte una lacrima vale più di una laurea.

Condividi su: