Scritto da Savino Pezzotta

Un fiume inarrestabile, che quest’anno ha toccato (e superato) la quota del milione di persone (1.005.504) è sfociato ​​in Europa nel 2015, ma per avere un idea precisa di come le migrazioni sono l’elemento drammatico (3.695 migranti sono affogati o risultano dispersi) e trasformativo che investe le nostre società, bisogna tenere presente che queste cifre, nel contesto globale, costituiscono solo una piccola parte dei 60 milioni di sfollati dalle guerre, dalle persecuzioni civili, politiche, religiose, dalle carestie, dalla fame e dalla miseria. Mai nella storia del nostro continente si era registrato un numero così alto. L’Europa, per la prima volta, è coinvolta in un massiccio afflusso di migranti. L’unico riferimento che si può fare è l’arrivo di 700.000 profughi a seguito della disgregazione della Jugoslavia e della guerra balcanica, ma allora il clima politico era diverso e la crisi economica non aveva ancora seminato la paura e le incertezze che oggi riscontriamo e che fanno germinare razzismo, xenofobia e rifiuto.

Va sottolineato che è anche la prima volta, nella storia, che l’UE debba ospitare così tante persone provenienti al di fuori dal continente, di culture e tradizioni diverse da quelle europee , di cui sono potatrici le persone, le famiglie , bambini che arrivano  da Libia, Siria, Iraq, e in Afghanistan.

Inoltre, i rifugiati ,non europei che sbarcano sulle coste  continentali  quest’anno , è improbabile che siano gli ultimi. Anzi, il flusso migratorio e le situazioni di emergenza sembra siano destinate a crescere anche nel 2016. Questa situazione che è inarrestabile dovrebbe spingere i governi europei e la stessa UE a riconoscere come questione interna, il movimento di persone provenienti da altre parti del mondo.

Le risposte dell’UE sta dando alla migrazione di massa rendono meno probabile che la crisi dei rifugiati possa essere risolta in modo sostenibile. Sarebbe necessario che si uscisse dalla cultura dell’emergenza e della temporaneità che assumere una visione di lungo periodo.

La tensione reattiva che oggi è in atto dentro l’UE rispetto alla migrazione di massa si basa su una visione ancora impregnata dall’ideologia dell’austerità dell’economia, che ignora gli effetti di politica interna delle migrazioni e gode della complicità di una cultura del respingimento, dell’individualismo e della chiusura . Nella progettazione e realizzazione degli interventi , per non scontentare nessuno, continua a predominare, quasi esclusivamente, l’assunzione di misure immediate tese a risultati sul breve termine.

Invece di mettere in campo, e sarebbe l’unico modo per contenere le migrazioni di massa, politiche di cooperazione internazionale incoraggiando e sostenendo lo sviluppo economico e politico dei paesi poveri e impoveriti o devastati da guerre civili, carestie, siccità, regimi dittatoriali, i responsabili politici dell’UE tendono a intervenire solo dopo che le cose sono avvenute, attraverso promesse di aiuti e di reinsediamenti di emergenza.

Questo modo di agire rappresenta un approccio che ignora le cause che stanno all’origine dei fenomeni migrazione, ed è per questo che è improbabile che la politica oggi adottata possa essere efficace nel breve come sul lungo periodo.

La mancata adozione di una visione a lungo termine, non solo mina l’efficacia della risposta dell’Unione europea, ma è attivamente controproducente. L’assenza di un quadro che affronti i fattori che determinano la migrazione lascia i politici liberi di agire e dire tenendo conto solo dei loro mercato politico elettorale e non come contribuire a realizzare una società multiculturale e plurireligiosa.

Continuare, in questa situazione di profonda mutazione, con le politiche protezionistiche che vedono l’utilizzo di molti miliardi di Euro per sostenere i produttori nazionali a scapito delle economie emergenti, alla lunga si dimostrerà una scelta  miope, incapace di guardare al futuro. Queste pratiche commerciali sleali hanno un impatto devastante sui redditi e il tenore di vita degli agricoltori in Sud America, Africa e Asia, e li rende impossibilitati a competere con chi può abbondare di sussidi. Tutto questo avviene sotto la retorica del libero mercato che sempre più si rivela per quella che è, una mistificazione.

Le politiche monetarie adottate recentemente dalle economie avanzate, in particolare dagli Stati Uniti, hanno contribuito a un forte indebolimento delle valute dei mercati emergenti.

Le recenti decisioni assunte dalla Federal Reserve hanno comportato un deflusso di risorse dai paesi emergenti.

Le politiche con il paraocchi, quelle che non tengono conto delle interdipendenze globali, contribuiscono a radicare e rafforzare quel fenomeno che Papa Francesco ha definito come la “globalizzazione dell’indifferenza”. Troppo spesso le politiche economiche sono valutate solo per le loro ricadute a livello nazionale e, solitamente, mostrano una scarsa attenzione alle conseguenze sociali internazionali che possono suscitare. C’è stato un tempo, quello dell’ottimismo verso la globalizzazione delle economie, in cui sembrava che si stesse realizzando una sorta di interconnessione mondiale, mentre ora si avverte sempre più un ripiegamento sulle proprie singolarità nazionali.

Non ci sarà soluzione della crisi migratoria di massa se l’Europa e i paesi economicamente più forti non attiveranno politiche di sviluppo sostenibili che abbiano come quadro lo sviluppo dei paesi da cui i migranti sono in arrivo. Una buona politica economica nazionale deve tenere conto in particolar modo come alleviare la sofferenza prodotta dalla mancanza di lavoro, ma anche degli effetti di second’ordine che si riverberano sui paesi più deboli e che finiscono per alimentare una migrazione disordinata di cui a guadagnarci sono solo i mercanti di persone.

L’attuale contesto economico e geopolitico si presenta, anche per l’anno nuovo, come un crogiolo germinativo di un permanente afflusso di persone che fuggono dalla guerra, dalla miseria, dalla povertà e dalle persecuzioni di ogni ordine e tipo. Inoltre, le grandi agenzie economiche mondiali ci stanno dicendo che le loro previsioni per la crescita globale tendono al basso e che c’è il rischio di tensioni sociali e politiche molto alte.

Diventa pertanto indispensabile che sorgano nuove proposte e che coloro che vogliono costruire muri reali, ideologici, razziali, religiosi siano isolati e sconfitti. Non ci sarà progresso umano se non iniziamo tutti a pensare il mondo come casa comune e che il destino degli uomini è fortemente intrecciato e inseparabile.

 

foto tratta da: ispionline.it

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