Scritto da don Antonio Mazzi

“Io, vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio”. L’ho cantata sabato 4 ottobre in piazza Duomo con il Sindaco Pisapia e i Nomadi.

Me la sono ricantata contando, chilometro dopo chilometro, le buche di una specie di strada che portava, in Madagascar, da Tanà a Fianà, tra una umanità scalza e infinita. Quattrocento chilometri di strada con ai lati donne, bambini, carrozzine di ogni tipo, zebù, uomini e mercatini strapieni di non ho capito che cosa.

Questa gente avrà una casa? Una famiglia? Quattro ariary per vivere? Una speranza? Può vivere un popolo senza speranza? Perché questi bambini sono nati qui e noi siamo nati là, nei paesi dei ladroni, dei padroni, dei cafoni? Quale diritto possiamo vantare e con quale diritto noi, ladroni, li lasciamo nella miseria?

Quando capiremo che, se ci sarà un luogo dove tornerà giustizia, a noi spetterà quello che loro oggi vivono e a loro spetterà quello che noi viviamo? I credenti questi luoghi li chiamano paradiso o inferno. Io li chiamo luoghi della giustizia, luoghi nei quali i primi saranno ultimi e i ladri dovranno ridare indietro quattro volte quello che hanno rubato.

Questa umanità vagabonda mi ha attraversato il cuore. Credevo di essere io ad attraversare i mercatini intasati di gente, invece erano loro a trafiggermi. Noi europei cattolici abbiamo un concetto di virtù, di santità, di fede, totalmente sballato. Con questa fede non solo non entriamo nell’anticamera delle abitazioni angeliche ma ci aspetteranno i gironi danteschi.

Siamo arrivati, dopo tre giorni di viaggio, uno di aereo e due di pulmino, a casa nostra, ad Ambalakilonga. Abbracci, tre baci ciascuno e centinaia di “salama”. L’ho detto e lo ripeto: loro sono ricchi dentro senza saperlo, noi siamo poveri dentro sapendolo (purtroppo!?).

La sera, a lume di candela, nella cappellina i trentacinque ragazzi hanno cantato il Padre Nostro in italiano. L’hanno cantato molto meglio di noi e l’hanno cantato tutti. Noi, intelligenti, facciamo a meno del Padre. Loro, ignoranti, sanno che senza padre non si vive e che il Padre Nostro non è solo la preghiera dei cristiani ma è il desiderio e il sogno di tutti.

Ambalakilonga è bella e i ragazzi sono ancora più belli. Ero molto stanco ma felice. Il giorno dopo abbiamo fatto una salto dai Salesiani e dal Vescovo. Mentre stavamo andando a trovare padre Zocco, abbiamo saputo che gli avevano dato l’estrema unzione.

L’ho salutato, accarezzato e benedetto. Credevo che non capisse. Invece, con un filo di fiato, mi ha detto: “Continua così. Vai avanti”. Ho sentito dentro di me una cosa che non riesco a descrivervi. Per noi padre Zocco è stato amico, fratello, padre. La notte non sono riuscito a dormire.

Continuo senza cronologia. La fiaccola l’abbiamo accesa in arena,senza luce (qui la luce e l’acqua mancano due o più volte al giorno) ma con un fuoco al centro e lavandoci tutti le mani e la faccia.

Era sera, il cielo era pieno di stelle. Sono partiti alcune lanterne dall’arena e il canto li ha accompagnati. Abbiamo fatto altre cose: la messa famigliare come piace a me, la messa domenicale con i ragazzi e gli amici.

Rosario ha invitato gli italiani che lavorano in città. È stato bello, spero si faccia sistematicamente. Noi questi incontri li chiamiamo “fare rete”. Forse è meglio dire solo incontro di amici.

Il clima di Ambalakilonga è buono. La casa è tenuta bene. Rosario si dedica anima e corpo. Fare l’educatore è il suo “mestiere” o meglio la sua vocazione. Sono arrivate altre ragazze di ESF. Mi scuso se non scendo in descrizioni dettagliate.

Dopo questo viaggio mi rimane, dentro al cuore, una grande speranza e il respiro mi esce più preciso e regolare. È vero che Dio arriva quando meno te lo aspetti e nel modo più laico e normale.

La fede è troppo piccola per regnare nelle intelligenze borghesi. Ci dimentichiamo sempre che è nata in una grotta. Per primi sono arrivati i pastori. I sacerdoti dormivano…

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