Scritto da Giulia Ranaldi

Chi sono io per poter guardare così da vicino, stabilire un contatto con la tua storia, chi sono io per smascherarti per scoprire la tua emozione presente, conoscendo il tuo passato.

Tu piccola e già futura donna, calzini di spugna, viso da bambina, corpo che cresce, vestiti possibili…tu sveglia frontiera tra infanzia e adolescenza, da buona mammina vieni a prendere tuo fratello a scuola … qui nel mondo della possibilità, della non violenza, della partecipazione degli adulti alla vita dei bambini.

Tu, sensibile bambina che sa fare, ma si vergogna a domandare, parli svelta per sorpassare l’imbarazzo, prendi tuo fratello, con l’espressione di chi è riuscito finalmente nel suo intento, nonostante la difficoltà e poi, ti giri e te ne vai, verso il cancello…verso la Strada, verso l´altra scuola.

Ed eccoci mentre ti allontani insieme a tuo fratello più piccolo, ma già più alto. La differenza fra uomo e donna. Mi torna in mente l’ istintiva ricerca di protezione della femmina nel maschio. Ma tu ancora non puoi rilassarti tra le braccia amiche e fraterne.

Shana interrompe il mio pensiero e mi parla, “lei è, lei è…” e non c’è un aggettivo a seguire, ma un racconto rapido, piccolo, atroce, che smonta il mio viso e lo rimonta in un espressione di orrore.

Lei è figlia di una prostituta, di una Mamma drogata, di una Mamma che quando la bambina aveva solo quattro o cinque anni ha iniziato a farla lavorare con lei, poi sono arrivati i servizi sociali che hanno messo le due nel programma di recupero, poi la bambina, trasformatasi in una mina vagante, è passata al Papà, solo che dopo un po’ di tempo la mina vagante ha raccontato: il Papà abusava di lei.

così, c’è la Nonna pronta a riceverla, la prende in casa. Ma la mina vagante esplode, diviene irrequieta, arrabbiata, richiede  attenzione, lavoro, pazienza. La mina esplosa è presto riconsegnata ai servizi sociali…

Provo a chiedere a me stessa di controllarmi, di stare in piedi , ma me stessa non risponde, è completamente sopraffatta dall’ emozione. E’ quel blocco sul petto che quando arriva resta un po’, ha un tempo, e tu puoi bere un bicchiere d’acqua, puoi respirare profondamente, puoi fare tutto il training autogeno che ti pare, ma quello c’ ha un tempo e resta. E mentre resta, la mente ha lei , le sue mani che gesticolano accompagnando il classico giro di parole di chi  di chi perderà il filo del discorso… Ti rileggo, e distinguo bene la timidezza dell’ infanzia, dal senso di vergogna. Chi sono io per entrare in Casa tua, seppur in punta di piedi, seppur pulendomi le scarpe prima di entrare…Chi sono per guardare così da vicino la tua sofferenza, la tua povertà, di affetto, di cose, di pavimento, di pulizia, di salute, di comunicazione.

Mi ritrovo seduta in casa tua, attorno a me due metri quadrati  per metà occupati da ferraglia, sedie a rotelle vecchie e consumate. Tu, un uomo, incarni bene l’immagine di un nonno con molte rughe sulle mani, sei seduto sulla tua sedia a rotelle, spostandoti con difficoltà nella tua casa troppo stretta per chiunque, più stretta se ti muovi su ruote grandi e dure. Ecco qua, sono entrata nella tua Storia, non posso tornare indietro e uscirne…c’è solo da infilarsi di più. I pantaloni slacciati, con la gamba rimasta, ti aiuti a spingere la sedia, ma mi spieghi che non puoi uscire dalla tua Casa, perché’ quel gradino che separa la terra dal legno e’ troppo alto. Un vecchio topo enorme, seduto, con le rughe, che racconta la sua Storia intrappolato in Casa. Le parole di A., mia accompagnatrice,  introducono la nostra uscita e mi alleviano… ma non sto andando via, io sto fuggendo da te consapevole che non riuscirò a seminarti, ti avrò dietro per molto, almeno finche’ tu sarai disperato almeno finche’ io sarò l’ invasore.

Chi sono per meritarmi la tua fiducia, troppa, me ne stai dando troppa, fermati, non darmene così tanta. Cosa è che t’ ha convinto? Cosa stai vedendo in me? Non mi conosci, sai solo dei miei pochissimi e trascurati abiti da viaggio, sai solo del mio freddo, e della mia risata, ma è davvero poco. Hai visto il riflesso di cosa? Del mio andare spedita in aeroporto, le mie valige piene di che? Hai visto il riflesso dei gesti delle persone che mi amano? Quello della mia infanzia, travolgente epoca senza noia e senza solitudine ? Cosa hai visto ? Hai visto ciò che un tempo hai voluto, chiesto ´perguntato´ fortemente agli angeli? Cosa hai visto…?

Tu, un giorno, mi vedrai?

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