Scritto da Savino Pezzotta

Il Gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC), ha pubblicato, nel mese di aprile, un nuovo e dettagliato rapporto  sull’impatto che il cambiamento climatico sta provocando sulla terra, sui continenti che la compongono, sui sistemi oceanici e sulla vita delle persone. Secondo questo rapporto siamo di fronte a un peggioramento delle condizioni ambientali generali.

La questione dei cambiamenti climatici interessa ognuno di noi e lo avvertiamo nel vedere come cambiano le stagioni qui da noi: inverni temperati, primavere piovose ed estati torride. I vecchi proverbi che descrivevano le condizioni metereologiche non servono più. Pezzi della nostra cultura popolare e contadina scompaiono rilevandoci il nostro distanziarci dalla madre e l’immersione in una profonda riorganizzazione del mondo che fa prevedere risultati devastanti sul nostro futuro.

Senza cedere alle idee apocalittiche e catastrofiche che sarebbero in contrasto con la convinzione che il creato non è orientato verso la fine e che il suo destino ultimo è il compimento di un disegno, e non essendo arruolati nell’ottimismo beota e inconsapevole, si avverte la necessità di una sosta per riflettere. Ho sempre avuto dei dubbi sull’ecologismo e in particolare su quello che tende a concentrarsi esclusivamente sulla tutela dell’ambiente naturale, sfuggendo, molte volte, al legame indissolubile che lega l’ecosistema all’uomo. Nello stesso tempo occorre che cresca la consapevolezza che non si può avere cura della vita umana senza la cura della vita di tutto il “cosmo” e dei viventi che lo popolano, animali compresi.

Sono i problemi del futuro umano che obbligano a immetterci sui sentieri dell’ecologia umana e fare di questa prospettiva la frontiera del futuro.

Creare e promuovere una vera “ecologia umana” non è facile e abbisogna di un serio lavoro educativo. Il declino e l’alterazione del mondo naturale non sono accidenti che avvengono deterministicamente o frutto di una manovra messa in campo da non si sa chi: sono strettamente legate alla cultura e alle azioni dell’uomo che modellano la società e i comportamenti personali. La crisi economica che ha devastato i modelli sociali costruiti nel passato pone l’obbligo di valutare se il modello di economia basato in modo parossistico sul consumo, sul massimo guadagno e profitto, possa continuare introdurci serenamente nel futuro e se le contraddizioni che abbiamo vissuto negli ultimi sei anni e che hanno provocato disoccupazione, mancanza di lavoro e crescita delle povertà siano il destino della storia.E’ forse arrivato il tempo che iniziamo a pensare a nuove forme di economia. Passare dall’attuale modello capitalistico di matrice liberista-libertina a un modello che avvantaggi la relazione umana, la sobrietà e nuovi stili di vita, non è per niente semplice. Nello stesso tempo non possiamo ripetere gli errori di chi volendo cambiare il mondo si è concentrato su modelli economici e su sistemi politici totalitari pensando che solo la forza potesse cambiare l’essere umano. Partendo dalle esperienze storiche del nostro passato e per non fare gli stessi errori, per non costruire nuove “piramidi del sacrificio”, che va aperta la strada al cambiamento attraverso un’azione educativa permanente centrata sulla libertà e responsabilità. Non ci sfugge che c’è un legame molto stretto tra i doveri verso l’ambiente e quelli verso la persona, considerata in se stessa e in relazione con altri. Non si può chiedere ai giovani di rispettare l’ambiente senza educarli al rispetto di se stessi e degli altri. L’educazione alla responsabilità ecologica deve inquadrarsi in un’autentica educazione “all’ecologia umana”, che è anzitutto rispetto e sviluppo della dignità di ogni persona umana. Su questo terreno impervio per la nostra consolidata mentalità, ci viene in aiuto Papa Francesco. Nel discorso che ha svolto il 5 giugno 2013 per la giornata dell’ambiente, ad un certo punto ha abbandonato il testo ufficiale per aggiungere a braccio : “Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro: il denaro, i soldi comandano! Dio, Nostro Padre, ha dato il compito di custodire la terra non ai soldi, a noi: gli uomini e le donne! Noi abbiamo questo compito!»… «Così – ha poi proseguito – uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità…» e ha aggiunto «Se una notte di inverno, qui, in Piazza Ottaviano, per esempio, muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia. Sembra normale! Non può essere questo! E queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada, non c’è notizia… Al contrario di questo, per esempio, un abbassamento di dieci punti nelle Borse di alcune città, costituisce una tragedia. Quello che muore non è notizia, ma se calano dieci punti le Borse è una tragedia. Così le persone vengono “scartate”. Noi, le persone, veniamo scartati, come se fossimo rifiuti».Tornando al rapporto delle Nazioni unite prima richiamato sugli effetti del cambiamento climatico, c’è detto che le comunità povere ed emarginate di tutto il mondo saranno le prime e più colpite vittime del cambiamento climatico. I più poveri del mondo, che non hanno avuto nulla a che fare con il riscaldamento globale, saranno quelli che pagheranno di più, poiché si aggraveranno i problemi esistenti come l’accesso alle risorse, alla sicurezza alimentare e alle risorse energetiche. Ogni anno decine di milioni di uomini, donne e bambini devono fare i conti con la fame. Ogni cinque secondi muore un bambino: il tempo di un sospiro, impiegato a fumare una sigaretta, a bere un caffè e un bicchiere d’acqua. Ogni anno quasi sette milioni di bambini muoiono prima di aver compiuto i cinque anni per cause facilmente prevenibili e curabili, ma a colpire di più è la fame.L’agricoltura mondiale potrebbe nutrire senza problemi miliardi di persone. Solo il 25% della terra abitabile è oggi coltivata, mentre è in atto una feroce accaparramento di terra da parte delle grandi multinazionali del cibo, una incetta che è responsabile in larga parte della deforestazione del pianeta .

Le responsabilità sono in capo a tutti noi. La conservazione del nostro pianeta non è solo un affare dei governi e delle Organizzazioni Internazionali ma anche di ognuno che deve imparare a regolare le proprie azioni quotidiane.Proviamo a pensare se risponda a qualche criterio di giustizia in un mondo dove ci sono persone, donne, bambini e uomini che soffrono o muoiono di fame, che un terzo della produzione mondiale di cibo sia trasformato in rifiuti. Nel nostro mondo industrializzato che vede i ceti sociali più deboli soffrire la mancanza di lavoro e che costringe le famiglie a rimodulare i loro stili di vita verso il basso, mentre nei paesi poveri milioni di bambini (e non solo) soffrono i crampi della fame e molti di loro (15 mila al giorno) non arrivano vivi al mattino, possiamo continuare nella logica dello spreco, del consumismo, nella produzione di rifiuti ?

E’ questa realtà che ci dice che bisogna imparare, dentro un progetto di “ecologia umana”, a collegare sempre più strettamente le questioni sociali che la crisi ha aggravato e generato (disoccupazione, assenza di lavoro per i giovani, difficoltà famigliari, crescita delle povertà materiali e immateriali) con la tutela dell’ambiente, con la pace e la difesa della dignità umana in tutti i sugli aspetti. La prospettiva cui tendere è quella di un’economia della sobrietà e della valorizzazione dell’essenziale, delle relazioni e della cooperazione basata sull’incontro dei volti.

 

Condividi su: