Scritto da Nicoletta Nobili
Siamo a Nagpur, in India, un Paese cosi strano e contraddittorio che per dire si devi fare no con la testa,ma allo stesso tempo è cosi affascinante e accogliente che non ti sembra neanche di stare cosi lontano.
Siamo ospiti della casa di Don Calabria e qui dobbiamo organizzare delle attività con i ragazzi e ragazze che vivono qui all’Hostel. È il primo giorno, usciamo di casa armati di fischietto, palloni, stereo e siamo pronti per iniziare. Dopo le presentazioni, dopo avere sciolto un po’ il ghiaccio, noto con certo stupore che i ragazzi sono tutti da un parte e le ragazze da un’altra. La divisione è cosi forte che al momento di formare un cerchio questo non si chiude ma si formano 2 semicerchi. Mi rendo conto che non è quel semplice imbarazzo di stringersi le mani tra ragazzo e ragazza che tutti abbiamo provato ma è qualcosa di più grande, qualcosa che sta dentro al loro essere parte di questa India che sto scoprendo, qualcosa che è nel loro DNA e che mi fa paura.
Il giorno dopo,mentre buttiamo giù un programma per il pomeriggio, inizio a depennare dalla lista quasi tutte le attività che avevo in mente di fare. Addirittura penso di dover dividere l’intero gruppo in base al genere, maschi da una parte e femmine dall’altra.
Sono confusa, non so cosa fare.
Ma poi mi convinco che sto sbagliando, e allora mi chiedo “Che cosa ci faccio qua?”. Quello che un’ educatrice deve fare è mettersi in gioco.
Quando sei in viaggio l’unica consapevolezza che hai è di aver portato te stesso, le tue forze e le tue fragilità, le tue certezze e i tuoi dubbi. Perché il viaggio ti mette alla prova, lo fa continuamente e tu devi saper rispondere. Ti mette di fronte a tante difficoltà, personali o del gruppo, difficoltà come la precarietà o come l’incontro di persone molto lontane da te sia geograficamente che culturalmente. Quel pomeriggio noi ci siamo trovati di fronte ad una scelta: continuare su quella strada o iniziare a muovere nuovi passi, sapendo che potevamo anche non riuscire.
Così, consapevoli del nostro obiettivo, incontriamo di nuovo i ragazzi. Formiamo un cerchio e noi ci mettiamo in mezzo a loro, siamo gli anelli di congiunzione. Dopo avere cantato tutti insieme ci decidiamo a staccarci dal cerchio e guidiamo le mani dei ragazzi una verso l’altra…ora il cerchio è chiuso!
Nei giorni a seguire abbiamo organizzato tornei, giochi, laboratori dividendo il gruppo in squadre miste e quando ci siamo trovati di fronte ad altre difficoltà come il nessun rispetto per le regole eravamo pronti a trovare nuove strategie affinchè tutto avesse un senso. Il senso del gioco “vero”, del divertimento. Un senso che è anche educativo, per i ragazzi, per noi e per me.
Ovviamente la strada è ancora molto lunga, ma almeno ora posso dire di aver iniziato a camminare…

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