L’ultima volta che l’aveva visto, Tolotra, l’aveva cercata perchè, dagli altri ragazzi di strada, aveva sentito che sua madre “donna di strada” anche lei, stava male. Zak l’aveva accompagnato in questo incontro. Incontro? no, delirio. Lei, a quanto pare ripresasi benissimo, aveva cominciato ad insultarlo, a urlargli contro, si era strappata le vesti cercando di fargli del male. Ha avuto paura Tolotra, ha avuto paura Zak, si sono rimessi in macchina e sono scappati, tornati ad Ambalakilonga. Lui l’ha cercata con amore, lei gli ha riservato urla e disprezzo.
Soa è il suo nome, che vuol dire bella. Ma bella non è. L’ho incontrata venerdì, lì sulla strada con gli altri ragazzi, sporca, ubriaca e ancora una volta incinta! Aveva saputo che Tolotra era stato in ospedale a causa della bilarziosi e mi ha chiesto di lui, “come sta? È ancora in ospedale?” Ho provato a guardarla negli occhi ma il suo sguardo era perso, vuoto come la bottiglia di toaka che si era scolata, puzzolente come il suo alito. Ma ho cercato di superarmi, di mettere da parte le mie fisime, le ho detto che Tolotra stava bene, si è ripreso e continua la cura. Le ho chiesto di venire ad Ambalakilonga a trovarlo, resta sempre suo figlio, di venire domenica e di non venire ubriaca. “Non so dov’è Ambalakilonga, non ci so arrivare”. I ragazzi mi danno una mano e si offrono di accompagnarla, loro vengono ogni domenica da noi, per pranzare per giocare un po’, a stare insieme da amici.
Torno dalla messa, domenica alle 9 e mezza e la trovo già lì, seduta dentro al canale di fianco al nostro cancello, ad aspettarmi. Puzza d’alcol, ma non è ubriaca. Mi prende la mano, e mi fa anche un po’ schifo perché è sporchissima, ha le croste. Così, mano nella mano entriamo e ci sediamo nello chalet in cortile ad aspettare Tolotra. E’ una valanga, comincia a raccontarmi di se, dei suoi problemi e disavventure. Pensa che sono un prete, ma chiarisco subito che sono uno come lei. Si sorprende perché sono più giovane, 38 anni lei, 32 quasi, io. Le chiedo a quale mese di gravidanza si trova, ed è al 9, stavolta quello sorpreso sono io, perché a fatica si direbbe che aspetta un bambino. Le dico che potrebbe anche starsene più tranquilla e di non mettere altre creature al mondo, che non è il caso di bere in gravidanza, anzi che non lo è mai. Ovviamente è d’accordo su tutto, ma la vita poi, è un’altra cosa. Tolotra intanto non arriva, l’ho già chiamato 2 volte, allora va Jocelyn, l’altro educatore in turno con me, a cercarlo. L’incontro è strano… lei chiede notizie, lui, Tolotra, 14 anni, ma si direbbe più piccolo a guardarlo, le chiede invece di cambiare vita, di smetterla di bere, di cercarsi un lavoro, le chiede di farlo per lui e per suo fratello più piccolo, arrivato qui ad Ambalakilonga insieme a lei, più sporco di lei! Si giustifica Soa, non ha soldi, non ha casa, non ha mezzi, non ha da mangiare… e così emergere che non ha soprattutto la forza o il desiderio di cambiare, per se o per i suoi figli. Questa è la povertà peggiore. Lui, invece, questo desiderio ce l’ha, eccome! Le chiede semplicemente di fargli avere i suoi documenti, altrimenti non potremo iscriverlo a scuola. Io li guardo, li osservo, mi sento uno spettatore impotente, incapace di cambiare le cose, estraneo. Ma mi rendo conto che invece non è così, ci sono dentro, ci siamo dentro in questa dinamica, in questa relazione. Soa, Tolotra, io e Jocelyn, Zak ed Elisa, Francesca e Roberto, i ragazzi, ognuno di noi ha la sua responsabilità, la sua parte d’amore da dare e ricevere. Ci lasciamo con la promessa che lei, sua madre, tornerà giovedì mattina con i documenti in mano, e per una doccia vera, perché possa ripulirsi prima di dare alla luce un’altra creatura. Noi siamo qui, ad aspettarla mentre cerchiamo di dare alla luce la nuova vita di Tolotra. Un altro modo di partorire, un’altro modo di nascere, una nuova vita.
Rosario Volpi

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