Scritto da Claudia Concas

Elba-La Mammoletta- 10 agosto 2016.

L’equipaggio era pronto per la partenza. Tutti i componenti erano carichi di aspettative, grande era l’ entusiasmo di vivere il Campus all’ insegna del divertimento, ma soprattutto, della conoscenza di sé e degli altri.
Nessuno aveva scelto i propri compagni di viaggio, qualcuno s’ imbarcava per la prima volta, altri avevano già vissuto quest’esperienza ed erano convinti che non sarebbe stata uguale alle altre.
Il TEMPO, è stato questo il leitmotiv del viaggio.
I viaggi, si sa, sono imprevedibili e non sempre si è pronti ad affrontare anche quelli verso noi stessi.
Attraverso l’altro, infatti, si entra in contatto con il nostro più profondo io.
L’Altro ci regala delle emozioni che diventano nostre e quando sono troppo forti, e non si riesce ad avere il coraggio di guardarle e condividerle, allora capita che qualcuno abbandoni la barca. Nessun preavviso, nessuna spiegazione. È difficile trovarla anche solo per sé stessi.
Cosi’, mentre l ‘equipaggio continuava il proprio viaggio, qualcuno non riusciva ad accogliere le scialuppe di salvataggio, altri invece, finivano un percorso che avrebbe richiesto ulteriore tempo nella terra ferma.
Era tutta una questione di equilibri, un lieve sbilanciamento e tutto sarebbe andato alla deriva.
Diventava vitale affidarsi a quel piccolo capitano, anche quando il vento ci si metteva contro e aveva la giusta forza  per far gonfiare quelle vele. Lui, come un grande guerriero, aveva iniziato un anno fa la sua “rivoluzione” durante il suo primo campus, togliendosi qualche sassolino malcapitato e lasciando quei lunghi capelli rasta appesi in qualche albero nel bosco.
L’ intero equipaggio aveva, poco alla volta, imparato ad accogliere tanta sofferenza e quegli sguardi iniziarono, giorno dopo giorno, a risplendere con la stessa limpidezza del mare.
Lascando e cazzando le scotte i giovani marinai sfidavano il loro presente affrontando tutti gli imprevisti che spesso il mare (della vita) riserva.
Ciascuno, nel breve cammino , era riuscito a guardare nel proprio passato.
Un tempo, quello passato appunto, fatto di strade sbagliate, di persone che hanno teso la mano o dato dei pugni, dei quali è presente ancora il dolore. Un passato sofferto, burrascoso, nostalgico, che fa paura.
È attraverso la testimonianza , la condivisione, il donare agli altri un pezzetto della propria vita, che la ciurma diventava sempre più unita: ciascuno era un pò parte dell’altro in uno scambio reciproco, in un divenire di dare e avere.
Nei piccoli gesti quotidiani iniziavano a scoprirsi persone capaci di adattarsi, fuochi d’artificio che esplodendo portavano energia, mani che si tendevano verso chi era più in difficoltà, limiti che diventavano punti di forza, occhi capaci di trasmettere la voglia di prendersi cura di sé.
Si era creata una perfetta armonia, ciascuno aveva trovato, nella barca, un proprio ruolo, importante per mantenere la rotta.
La più grande forza di questo viaggio era un ‘energia alternativa capace di rigenerare e auto alimentarsi.
Ed è proprio quando si ha la certezza di non essere soli che ci puoi permettere di cadere, perché i marinai sono li, pronti a sostenerti.
Conclusero il loro cammino con un grande spettacolo che coinvolse tutti, lo spettacolo della vita e di chi con determinazione, sofferenza e fatica vuole progettare il proprio futuro e continuare a sognare.
Raggiunsero così la terra ferma con la consapevolezza di aver messo qualcosa di importante nel proprio zaino. Alcuni rientrarono a casa, altri partirono per un nuovo viaggio. Molti continuano oggi il loro percorso li, alla Mammoletta, sempre pronta ad accogliere chi vuole iniziare un nuovo cammino.
A Walter che non ha avuto la fortuna di imbarcarsi in questa nave e che ora ci guarda da lassù”

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