di Camilla Mori
C’era terra rossa ovunque in Bolivia. Nell’aria che respiravamo, sulla pelle, sotto le unghie, sui vestiti che portavamo addosso e su quelli ripiegati in valigia. Si infilava anche nelle scarpe.
In ogni viaggio, da Riberalta a Guayaramerin, a Porto Rico e poi a Cobija, quella polvere ci ha accompagnate come un filo tra le tappe. Si sollevava a ogni curva e ci avvolgeva.
In Bolivia, la terra non è solo qualcosa su cui cammini ma è qualcosa che ti entra dentro. All’inizio era fastidio, poi è diventata parte del paesaggio, del corpo, del nostro essere lì.
Non è un rosso qualsiasi, però. È vivo, acceso e ti resta addosso anche quando pensi di averlo lavato via. Mi ha colorata, sporcata, trasformata.
Ad un certo punto, ho deciso di smettere di cercare di pulirmi. Perché ho capito che quella polvere era come una forma di incontro, quello rosso, caldo, intenso avvolgente, come tutti gli abbracci ricevuti dalle persone che abbiamo incontrato.
Abbracci stretti, veri, dati senza esitazione.
Abbracci sinceri, lunghi.
Abbracci pieni di gratitudine e anche di bisogno
In ogni luogo in cui siamo arrivate, siamo state accolte con un’apertura e una fiducia disarmanti. Non servivano presentazioni formali, non c’erano barriere. Bastava esserci.
Questo calore qui assomiglia al colore della strada. È lo stesso: lo stesso rosso, lo stesso modo di entrare sottopelle, senza chiedere permesso. Lo stesso calore che ci sporcava i vestiti ci stava anche riempiendo il cuore, ci faceva rallentare, ascoltare e sentire.
Il rosso della terra e il calore degli abbracci hanno iniziato a confondersi. Sono diventati, per me, la stessa cosa. Segni visibili e invisibili dell’incontro e del legame che nasce e, che resta, anche quando te ne vai.
In Bolivia ho capito che a volte è proprio ciò che ti sporca che ti rende più vera.
Ho imparato che l’accoglienza non ha forma fissa, ma ha sempre la stessa sostanza: mani aperte, occhi che si incrociano, corpi che si abbracciano, silenzi che dicono più di tante parole. Che l’accoglienza, quella profonda, ha lo stesso colore della terra: resta. Si attacca. Ti cambia. E ti accompagna, anche quando il viaggio è finito.
Per me la terra rossa è il simbolo di questo viaggio, di qualcosa che resta, è il segno che mi porto dentro, che sono passata di lì, che quel luogo è passato dentro di me.


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