di Elisabetta Pagliuca

È l’ultimo pomeriggio del campus. Abbiamo appena pranzato e io sono seduta sul comodo divano dell’angolo morbido. Guardo i bambini e le bambine giocare, ridere e disegnare in un clima di serenità e armonia e ripenso ai dieci giorni che mi sono lasciata alle spalle. Sembrano molti di più, talmente sono stati intensi. Dopo due giorni, mi sembrava di essere qui da almeno una settimana. 

Il tempo del Campus bimbi è un tempo tutto particolare. Non segue il ritmo scandito dalle lancette degli orologi, non si misura in ore, minuti e secondi. Il tempo del Campus è un tempo che si misura con gli sguardi, con gli abbracci, con le corse sfrenate, i giochi di gruppo, le coccole e le pennellate su un foglio bianco. È un tempo che si dilata e che si stringe, che si allunga e si modella. E a voler essere precisi non ce n’è soltanto uno. Il nostro tempo, i nostri tempi hanno quel privilegio riservato ai coraggiosi che camminano sull’argine degli eventi, che non si accontentano di quello che c’è e decidono di andare oltre, per creare essi stessi qualcosa di originale.

C’è il tempo della programmazione e dell’organizzazione, che sembra sfuggirci e non bastare mai, ma alla fine troviamo il tempo per tutto. Ci adoperiamo perché tutto fili liscio, allestiamo con cura gli spazi e prepariamo i materiali per le attività. Ci ricordiamo all’ultimo di quella cosa da fare, di quel materiale da preparare. E siamo sicuri che ci siamo dimenticati di qualcosa, ma riusciremo comunque a farcela. 

E poi c’è il tempo dell’accoglienza, un tempo sospeso in cui ci guardiamo negli occhi per capire come stiamo, ci salutiamo, ci abbracciamo, ci diamo il cinque. Da questo momento in poi inizia il nostro tempo insieme: volontarie e volontari, bambine e bambini. Il tempo del gioco è energia, risate, movimento e coinvolgimento. Ma è anche attenzione per chi non partecipa, per chi non riesce a stare ai tempi del gruppo, per chi ha bisogno di più tempo per entrare nel cerchio grande e per chi nel cerchio non riesce proprio a entrarci. Il tempo del gioco dura finché ci va, finché non ci siamo visti e detti con gli occhi che ci stiamo divertendo, che ci sentiamo leggeri e accolti e che andiamo bene così come siamo. 

Anche l’arte ha il suo posto e il suo tempo nel nostro campus. Un tempo tutto per noi, durante il quale seguiamo le indicazioni di David e realizziamo cose bellissime. Siamo con noi stessi e con gli altri allo stesso tempo. Ci concentriamo sul nostro lavoro, in una dimensione di introspezione che solo il gesto artistico riesce a trasmettere. Introspezione che lascia spazio allo stupore e alla meraviglia per quello che siamo capaci di fare con un pennello, un foglio e pochi colori. 

Il mio tempo preferito è quello immenso della condivisione, quando i bambini all’ora di pranzo si siedono in cerchio, aprono i loro zaini, tirano fuori il proprio cibo e dicono:”Compartimos? Condividiamo?”. O quando si aiutano gli uni con gli altri, quando fanno vincere il più piccolo, o non si perdono mai di vista. Un tempo di un valore incommensurabile. 

C’è anche il tempo del riposo, un tempo lento, dolce e coccoloso. Il tempo in cui leggiamo le storie, guardiamo gli albi, giochiamo a “Uno” o immaginiamo mondi fantastici. 

Penso a tutto questo mentre sono seduta sul divano. E mi sento molto fortunata. 

Condividi su: