Le parole e le cose
scritto da Gabriella Ballarini

Quando, alla fine di Febbraio, dopo la nostra formazione del gruppo storico ESF (80 educatori ed educatrici presenti in associazione da 3 a 10 anni), abbiamo appreso la notizia del virus e siamo stati travolti da numeri, parole e porte che si sono chiuse, abbiamo deciso (come molte realtà formative) di aprire Zoom.
Uno dei percorsi artistici che abbiamo deciso di approfondire è stato quello della Bottega delle Parole, modulo su arte e scrittura contenuto all’interno dell’offerta formativa di arti nella pratica educativa “La Valigia degli attrezzi”

Come è andata?
È andata in tanti modi, ma andiamo con ordine.
Come iniziare?
Iniziamo da qualcosa che c’è. Abbiamo aperto la nostra sperimentazione con la #cornicerossa l’abbiamo presa, diffusa, raccontata in giro e abbiamo realizzato una narrazione collettiva che ancora sta viaggiando per le piazze e per le strade e che stiamo documentando sulla pagina Facebook di Educatori senza Frontiere

La #cornicerossa ha rappresentato per noi la possibilità di dire l’indicibile, di tradurlo in colori, immagini, dentro alla nostra cornice, non per limitare, ma per espandere e raccontare all’esterno il nostro desiderio di libertà e la nostra idea stessa di libertà. Questa idea viaggia stretta con l’idea di bellezza, di arte come possibilità di rottura, come possibilità di raccontare giorni irraccontabili.

Ma il fuori era un luogo così difficile da abitare in quei giorni.
Difficile in tutti i sensi.
E così ci siamo concentrati sul dentro, sugli oggetti.

E cosa ci siamo inventati?

Abbiamo presto e descritto la nostra vita attraverso fotografie, che erano inventari, che erano piccoli mondi in evoluzione ogni giorno. Facendo una ricerca ho scoperto anche una parola nuova “flat lay”, avevo bisogno di parole per mettere insieme un laboratorio a distanza e questa parola mi è piaciuta subito. E così la consegna era semplice, ma affascinante, unire l’idea della foto instagram dall’alto (flat lay appunto) e riflettere anche su un’altra parola “moodboard”. Il colore, l’umore, la tonalità, il filtro, il ritocco, la composizione apparentemente insignificante, che diventa significato pieno.

Le foto, con la giusta luce e il giusto mix di colori, venivano poi mandate a me ed arrivava il momento delle parole.
Un parola alla volta, per mettere insieme un racconto del presente.
Unica regola, non tralasciare nemmeno un oggetto.
Si poteva decidere di partire dall’angolo, dal centro, si poteva decidere di darsi delle regole, dei vincoli che potessero diventare la sfida giusta per scovare parole inedite.
Perché stare fermi, ferma spesso anche le parole. Le parole non escono, si inchiodano al muro dei nostri pensieri e non escono.

L’esercizio è stato così entusiasmante che ho sperimentato con tre gruppi diversi questa tecnica e mi sono convinta della sua potenzialità.
Le parole e le cose, ecco quale sarà il suo titolo d’ora in poi, quando lo proporrò.
Ma una cosa distingue questo esercizio da tutti gli altri. Se non sei in un luogo tuo, non lo puoi fare.
Ed in questo caso, se non fossimo stati tutti a casa, con i nostri oggetti, non avremmo mai avuto la possibilità di farci venire in mente una proposta così.
Le parole e le cose, nasce proprio per raccontare quella porzione così intima di noi, senza invadere completamente il nostro spazio, è uno scatto e dentro c’è tutto.
Nelle prossime settimane vi porteremo in giro nei nostri mondi, fotografie e racconti affascinanti, le nostre istantanee dalla quarantena e la nostra possibilità di trasformare questo esercizio in un buon incipit per incontri futuri, magari su Zoom, magari al tramonto, quando il fuori e il dentro hanno bisogno di prendersi un respiro e le cose diventano parole.

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