Scritto da Claudia Minelli

“Mi ha chiamata Tony, c’è una novità, S. è incinta!”

“Va bene, stasera ti dico quanti bambini ci saranno venerdìe per quanto riguarda S. ce lo potevamo immaginare… Arabaina, Auguri!!! ...  fammi sapere poi cosa decidete per i due piccoli per la festa di venerdì…  Ah la cosa brutta è che c’è chi dice che S si prostituisca… da quanto è incinta?” ora ha 16 anni, un fratellino di 8, una sorella più piccola in una casa famiglia di Fianarantsoa e la mamma… una donna che vive strada, da una vita, attacca brighe, spesso ubriaca e spesso accompagnata da diversi giovani fidanzati.

Nel 2012 S. arriva al centro Miaraka. È una ragazza bella e sveglia. Con la mamma il rapporto è difficile. L’ha picchiata per anni e, a volte, annebbiata dall’alcool, ci riprova ancora a tirarle qualche schiaffo, perché S. non è andata a trovarla o perché a volte non nasconde il suo disagio per le  sue continue sceneggiate.

Ma S. in questo rapporto ci sta, a volte con difficoltà, a volte quasi con gratitudine verso una madre che l’ha messa al mondo. Una donna molto abile a raccontarle e a raccontarci che è grata dell’aiuto che la figlia sta ricevendo ed ha ricevuto qui al Centro Miaraka.

Non è sempre facile lavorare con questi genitori, far capire ai figli perché a volte dobbiamo arrabbiarci, dire dei NO, negare un aiuto o spingere i figli stessi a passare del tempo in famiglia e dare valore al ruolo insostituibile dei loro veri genitori.

Con S. qualcosa non è andato nonostante le energie sue e nostre spese nel rapporto con la madre, un rapporto difficile che a volte ci ha portato a prendere decisioni difficili come, per esempio, la diffida nei confronti della mamma per tutelare la serenità degli altri bambini del centro. Eppure S. ci aveva sempre stupito per la sua maturità nel capirci e nel non condannare le nostre posizioni. E noi avevamo sempre continuato a coltivare la relazione con la mamma all’esterno, aiutandola in diverse occasioni.

Poi un giorno cominciano i misteri, un telefono sotto il cuscino, soldi che non si sa da dove arrivino… e soprattutto un muro, il rifiuto di parlarci e di spiegarci… e poi dei messaggi in cui scopriamo che mentre noi aiutiamo la madre con un problema di salute, la stessa donna organizza la fuga della figlia dalla comunità d’accordo con un patrigno che avrà sì e no dieci anni più di S.

Contro la ribellione di S. c’è stato poco da fare…  né rabbia, né costrizioni, né comprensione sono serviti a convincerla a non tornare a vivere per strada con la mamma.

Nei mesi dopo la sua uscita dal centro l’ho vista poche volte. Quando è successo, l’ho vista sempre trasandata, appesantita, sporca e trascurata come la madre. Un giorno qualcuno mi ha persino raccontato che S. ha picchiato la mamma, forse per ribellarsi per tutte le volte che la stessa l’ha fatto con lei. E, infine, qualcuno mi ha detto che S. vendeva… sì, vendeva la “propria carne”.

E oggi questa notizia, così… e un senso di fallimento e di impotenza che mi e ci trafigge.

È inevitabile a volte… fa parte del lavoro dell’educatore, del genitore, del missionario che non sempre riesce a illuminare la strada come vorrebbe.  Ma è proprio perché le cadute e il dispiacere fanno parte di questa nostra scelta di vita che si riparte, cercando di migliorare ogni giorno, curando sempre queste relazioni con più attenzione, con la consapevolezza di non essere infallibili e con la speranza per quello che verrà.

E intanto mi chiedo cosa succederà, chi sarà il suo bambino.

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