Scritto da Elisa Attilia Casarini

Da Milano a Roma gli scartini si sono sparpagliati per il mondo, lontani gli uni dagli altri, mi immagino tante puntine rosse su una cartina geografica.

Poi vedo cinque di queste, col naso all insù, in terra boliviana. Vedo i nostri dieci piedi camminare su terreni diversi e le mie mani cambiare, in modo incredibilmente veloce.

Guardo il cielo nerissimo scendere sull’arancione dell’orizzonte, mentre le palme sventolano.

Sento di essere lontana da tutta la mia vita ma comunque vicina a chi amo.

L’intreccio delle nostre storie è iniziato e le nostre forze si sono quintuplicate.

Non c’è paura di cadere o sbagliare, non può succedere perché siamo pronte, pronte a registrare nelle nostre pupille e nei nostri cuori tutto ciò che possiamo.

Cerco di disegnare il profilo migliore delle persone che ho finora incontrato nella mia vita per donarlo ad ogni incontro che faccio qui, come se fossi solo la somma di un sacco di segni positivi. Qui, dove la sottrazione è dilagante e parte dalla base, dalla famiglia che non è la base di niente, si fanno dieci bambini con sei donne o sei uomini diversi e poi si abbandonano.

La vita è data e lasciata a se stessa, come se qualcuno avesse richiesto espressamente di venire al mondo.

C’è abbandono dalle radici fino alle foglie, ai germogli di questi piccoli occhi scuri.

E io che mi stupivo dei treni in ritardo, ora devo stupirmi di 18 fratelli sparsi per il Sud America.

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