Scritto da Francesca Capone

Siamo al nostro penultimo giorno a Soddo e la nostra avventura allo “Smiling Children Town” sta per concludersi. Sono convinta che il nostro viaggio continuerà una volta tornati a casa, perché ognuno di noi porterà con sé quello che abbiamo vissuto in queste settimane, in cui i giorni sono passati veloci ma allo stesso tempo così intensi ed emozionanti che pare di averne vissuti molti di più. Lo “Smiling children town” è un centro che ospita bambini e ragazzi di strada, offrendogli la possibilità di cambiare vita e ricevere un’istruzione che possa garantirgli un futuro migliore.

I nuovi arrivati si inseriscono gradualmente: iniziano frequentando il centro poche volte alla settimana per poi entrarne a far parte, se lo vogliono, stabilmente. Il giorno in cui iniziano a vivere stabilmente nel centro è molto emozionante, simile a un rito di passaggio: abbandonano i vestiti sporchi e stracciati, fanno la doccia e indossano nuovi abiti puliti, finalmente della loro taglia! Questo è stato uno dei tanti momenti speciali che ho vissuto qua: vedere i loro occhi illuminarsi per aver ricevuto ciò che spetterebbe di diritto a ogni bambino del mondo, ma che qua non è affatto scontato.

I bambini e ragazzi che vivono per strada si guadagnano da vivere lavorando, o rubando.

Come ci ha detto il direttore del centro, ogni bambino ha la sua ragione per vivere così: le condizioni di estrema povertà delle famiglie, spesso aggravate dalla morte di uno o entrambi i genitori, conflitti familiari di vario tipo, la voglia di cercare una vita migliore fuori dal villaggio, dove ci sono poche possibilità e dove non è sempre possibile andare a scuola. Alcuni, dopo la giornata in città, tornano a dormire a casa, altri passano la notte in camere in affitto a basso costo, altri ancora per strada. Questi ultimi sono costretti ad aspettare che la città si svuoti per coricarsi sui loro giacigli di cartone senza essere disturbati, e a difendersi dalle forze dell’ordine che invece di proteggerli li allontanano e maltrattano. La vita di strada è una vita dura, piena di pericoli e poche certezze, e non è raro che questa precarietà e mancanza di punti di riferimento spinga i ragazzi a fare abuso di alcool o inalare benzina, che li stordisce e mette a sopire i morsi della fame.

Sicuramente ciò che li aiuta è la condivisione e la solidarietà con i coetanei: al centro i nuovi arrivano in gruppo e molti conoscono alcuni bambini già inseriti. Non sorprende che alcuni di loro, considerati dai più come la feccia della società, appena arrivati al centro siano piuttosto resistenti e insospettiti dalle attenzioni e dalle dimostrazioni di affetto, a cui non sono abituati. Durante queste settimane, attraverso le nostre attività e la nostra presenza costante, possiamo dire di aver instaurato con i ragazzi, anche con gli ultimi arrivati, una relazione di fiducia. Glielo si legge negli sguardi, nei saluti con cui ci accolgono ogni giorno, nelle mani che cercano le nostre e nei sorrisi sinceri. E tutto ciò è stato ed è possibile grazie alla loro e alla nostra apertura, all’accoglienza che ci hanno offerto, all’entusiasmo per le nostre proposte, al loro mettersi in gioco, alla condivisione.

Sono arrivati a parlarci delle loro emozioni, cosa per niente scontata visto che nel contesto critico in cui vivono le priorità sono altre.

Hanno condiviso con noi e i compagni le loro storie difficili e dure, imparando che non solo la gioia, ma anche la tristezza, si può condividere. Insieme a noi hanno espresso i loro desideri e progetti per il futuro, progetti e desideri che non avevano quando vivevano in strada e la loro principale preoccupazione era guadagnare almeno il necessario per mangiare e scampare ai pericoli. E poi le risate e i momenti divertenti e spensierati, tanti! Aver vissuto con loro tutto questo è stata un’esperienza indimenticabile, qualcosa che ci ha fatto sentire uguali, pur nelle nostre diversità, e superando le barriere linguistiche. Forse proprio perché per questi ragazzi nulla è scontato, ogni giorno è pieno di gioia e si vive nel qui ed ora senza distrazioni, con intensità, entusiasmo e gratitudine alla vita!

E questo è un grande insegnamento…La loro gioia di vivere si materializza in balli e canti che hanno contagiato anche noi, e ci uniscono in un ritmo vitale e travolgente, un flusso di energia rigenerante. Il ballo per loro è un codice condiviso, imparato sulla strada quando alla fine della giornata si riuniscono per danzare davanti a qualche locale, e che portano sempre con loro, come se questi passi arditi e abili li unissero in una grande famiglia. Vedere con i miei occhi la povertà e le persone che la vivono, fuori dal centro, mi ha fatto riflettere sul fatto che nascere nella “parte sbagliata del mondo” può significare non riuscire a vivere una vita degna, consapevole e libera, non poter diventare degli esseri umani nel senso profondo del termine, persone con un progetto di vita in cui mettere a frutto le proprie potenzialità. Insomma, diventare se stessi, in un paese come questo non è un diritto ma un lusso che i più non possono permettersi.

Questi ragazzi invece hanno la possibilità di farlo ed è stato un grande onore poter contribuire anche in minima parte alla loro crescita e alla loro gioia. Provo un grande amore per loro, e gli auguro con tutto il cuore di farcela. Non mi aspettavo che questa mia prima esperienza con ESF mi desse così tanto, e in questo i miei compagni di viaggio hanno avuto un ruolo fondamentale, con loro si sono create una sinergia e un’armonia rare, nella libertà di esprimere le proprie opinioni, un sostegno reciproco e una condivisione importanti. Sono fiera di noi e dei semi che abbiamo gettato!

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