Scritto da Francesca Cervo

Caro educatore senza frontiere

Il viaggio di quest’anno è iniziato con la domanda PERCHE SI PARTE?

Si parte per conoscere? Si parte per fuggire? Si parte per se stessi?

Ricordo le parole del don, il 24 Aprile, quando ci diceva che si parte per TORNARE, e non per scappare. Come volontari, ma soprattutto come educatori siamo chiamati a restituire ciò che abbiamo visto, per creare una rete di relazioni tra terre lontane.

Vorrei raccontarti di Ambalakilonga, dei suoi progetti e dei ragazzi che vivono qui.

Trasportarti nel vortice delle innumerevoli emozioni ed esperienze.

Immaginati i colori di un piccolo villaggio abitato da ragazzi pieni di energia e di un responsabile che li accompagna e li guarda con gli occhi di un genitore.

Un via vai di turisti, volontari che si mettono al servizio dell’altro.

Prova a sentire il suono delle risate a tavola la domenica quando si condivide la semplicità di un piatto di riso. Pensa al sorriso dei bambini di strada che vengono qui per passare del tempo insieme. Ai ragazzi di Ambalakilonga che donano il loro tempo a chi ha bisogno, fanno volontariato e servono i pasti in strada, quella strada che li ha cresciuti o li ha visti arrivare fin qui.

Vorrei trovare delle parole più adatte per descrivere questa famiglia.

Forse le migliori sono proprio quelle di chi vive in questa famiglia.

Vorrei parlarti dei ragazzi che colorano questo villaggio, con le loro risate, con la melodia del tamburo che risuona in tutta Ambalakilonga quando hanno del tempo libero, quando se ne va via la corrente ma a loro non importa perché hanno l’energia nelle mani che batte a ritmo di una canzone che non conosci ma provi a cantare. Quei ragazzi che si svegliano la mattina presto per fare kung fu e subito preparano la colazione, impiegano un ora e mezza per arrivare a scuola e tornano il tardo pomeriggio ma hanno ancora l’energia e la voglia di cantare.

Forse il modo migliore per parlarvi di loro è dando voce a ciò che loro pensano, a quello che hanno scritto su un biglietto, nel quale gli veniva chiesto cosa potevano portare nello sport. Ricordo benissimo il nostro stupore (nostra emozione) nell’ascoltare le loro risposte.

C’è chi mette in gioco il divertimento, l’allenamento e la partecipazione. Chi invece porta con sé l’amore, la pazienza, l’unione, l’ascolto, il coraggio, l’umiltà, la solidarietà, la collaborazione e la possibilità di rappresentare due patrie.

Sono state queste parole, queste persone, caro educatore senza frontiere che finalmente mi hanno dato modo di trovarti un volto.

Hai il viso dei ragazzi di Ambalakilonga, delle persone che vivono qui o che sono state anche solo di passaggio ed hai il cuore di chi è in Italia che ascolta le parole di noi volontari.

Ed è grazie a questo ascolto ed accoglienza che si possono creare realtà possibili che aprono strade impossibili.

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