Scritto da Rossella Ferrara

“Si parte per un’emozione non per un PERCHÉ preciso”, queste le ultime parole appuntate sul mio quaderno, sul mio diario degli incontri ESF, un viaggio lungo due anni che mi ha portato ad amplificare tutto un mondo che da sempre ha abitato dentro di me.

Tutto allora si riconduce a questo, ad un soffio di vita, un battito di cuore, un pugno allo stomaco e l’Africa, tanta parte d’Africa, di emozioni non è certo parca, ma ne regala di inaspettate e le dipinge a tinte forti ed infinite sfumature nel cuore.

Perché questa terra, che noi così tante volte sentiamo descritta, vediamo rappresentata povera, sia, invece, così ricca di scintille di vita ancora non me lo spiego. Forse sarà per gli infiniti contrasti che albergano in essa, perché è dal confronto con qualcosa di diverso che nasce tutto. Cosa sarebbe un mondo monocromatico? Come si dipingerebbero albe e tramonti senza contrasti? Quei contrasti che rendono poesia anche la scena di un bambino che si rotola nella polvere per giocare a cambiare colore.

Così per tre settimane, in questo ritaglio d’Africa, mi sono messa in ascolto, ed ho guardato, ed ho toccato, ed ho sentito tutti i contrasti che questo microcosmo nell’entroterra angolano ha saputo regalarmi.

Ho ascoltato bambini e ragazzi ripetere orazioni e recitare preghiere ogni giorno, due volte al giorno, con un trasporto, una fede e talvolta una rassegnazione che non posso comprendere, gli stessi poi costretti a lottare gli uni contro gli altri e contro il mondo per sopravvivere alla meno peggio.

Ho guardato il contrasto di questa terra dorata, a tratti ramata, con l’azzurro del cielo e con il rosso fuoco del sole all’alba; ho visto ragazzi e giovani uomini ballare come angeli una musica religiosa e con la stessa disinvoltura padroneggiare i passi del reggaeton; ho assistito, talvolta inerme ed impotente, all’inedia dei giovani del centro, che si trasformava in esplosiva vitalità giocando su un arrangiato campo di calcio; ho visto spuntare un bianco, disarmante sorriso sul viso rigato di lacrime di un  bambino.

Ho toccato piccole mani dure, ruvide, precocemente martoriate dalla vita e la pelle morbida e liscia di volti bramosi di carezze; ho avvertito sul corpo il freddo delle notti angolane ed il calore umano di abbracci, dapprima timidi, poi sempre più densi.

Allora ho sentito! Ho sentito la rabbia per bambini che crescono e diventano uomini in una condizione inaccettabile; ho sentito la gioia di giocare a “bola”, di far roteare una girandola, di un agognato bagno al lago, di una serata trascorsa insieme tra giochi e balli; ho sentito la paura che le cose non possano mai cambiare o che per quei bambini possa essere troppo tardi; ho sentito la felicità di pomeriggi trascorsi ad infilare perline, a dipingere ascoltando musica o di uno sguardo dopo aver ricevuto una carezza, un bacio di buonanotte.

Ho sentito l’amore, che sia per tutta la vita, per un anno, per tre settimane o per un solo giorno, che rende la vita degna di essere vissuta.

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