Scritto da Giulia Lea

Tu che sei lì seduto davanti a me, con uno schermo che ci divide, mi chiedi: “ma perché così lontano?”

Io ti sorrido, ti guardo e ti rispondo: “Papà, ma come avrei potuto essere ora la persona che sono senza i viaggi che ho fatto?”.

Tu annuisci con quel sorriso un po’ malinconico, un po’ nostalgico, forse, un po’ rassegnato. Ti manco e lo so. Anche tu mi manchi e non poco. Mi stai aspettando. Ascolti i miei racconti, ti perdi tra le mie parole, guardi foto mentre te le descrivo.

Chissà se immagini la terra rossa del Rwanda proprio come quella che ho calpestato io. La polvere che ti si incolla addosso, la terra battuta camminata da piedi scalzi, la terra ballata da musica ritmata.

Li senti i suoni della mattina presto, quando ancora è buio, quel buio così intenso, e la vita fuori che, invece, già è iniziata? Senti la voce di bambini che ti chiamano “straniero”?. Chissà se riesci ad immaginare le giornate che diventano quotidianità, familiarità. Sconosciuti che ti accolgono e diventano la tua famiglia ruandese prima, malgascia ora.

Chissà se riesci ad immaginare la potenza di un incontro tra anime, tra persone così diverse, che non parlano assolutamente la stessa lingua ma che vogliono incontrarsi e cercano una lingua comune per poterlo fare.

La senti la paura che svanisce? Lo senti il cuore che si allarga? Le senti  le mani che sono piene di altre mani che si fanno posto proprio vicino a te, che ti cercano, a cui ti aggrappi, che ti stringono?

Ma tu vedi tornare me. Mi vedi tornare a casa. Mi vedi carica, poi assente, triste ma poi allegra. Anche tu non sai come prendermi, le parole non sono sufficienti ma, come sempre, mi capisci. Allora ti fermi vicino a me e piano piano lasci che le parole escano e tu rimani in silenzio e intraprendi questo viaggio di ricordi con me.

Sai che ho incontrato tante persone? Sai che i miei passi hanno incrociato quelli di altri? In Rwanda ho conosciuto un ragazzo, quasi per caso, si trovava in quel preciso momento lì perché era il suo “anno sabbatico”. Lui era lì, la sua presenza ha creato un filo che ci ha fatto avvicinare agli altri ragazzi. La sua curiosità ha acceso la nostra e la sua figura è stata da esempio, da guida, di ispirazione per tutte.

Qui in Madagascar ne ho avuto un altro. Un giovane uomo, come lo chiamo io, ha incrociato la mia strada. Un incontro non cercato, quasi non voluto all’inizio, un incontro che ci ha segnato, ci segna ancora oggi, stamattina prima di andare a scuola, a lui, e prima di iniziare la giornata, a me. Un legame vero, indissolubile, un affetto profondo.

Ma papà, come faccio a spiegartelo a parole? Come faccio a farti sentire quello che provo io? Sai che ho ritrovato un senso? Sai che ho riscoperto il valore della semplicità, della verità e ho imparato che la presenza, in qualsiasi relazione, è la cura per tutto? Ho imparato che le piccole cose sono la vera felicità e che basta poco per esserlo.

Forse tu lo sai, me lo fai capire con un abbraccio, accogliendo i miei silenzi così pieni, così rumorosi e aspetti il mio ritorno o la mia prossima partenza.

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