Claudia, una volontaria di Educatori senza Frontiere, di recente, è stata all’Isola d’Elba, all’interno di una casa della Fondazione Exodus.

Su quest’isola vive un gruppo di ragazzi e ragazze, insieme a loro sono nate delle piccole grandi storie. In questi giorni le pubblicheremo per raccontare di loro, per ricordarci delle cose piccole, che ingrandiscono il mondo.

Nikla, Ciccio, Claudia e Cesare, raccontano.

Ricordo ancora il giorno in cui mi imbarcai. Pochi giorni prima mi avevano cacciato fuori di casa per I miei comportamenti sconsiderati e, di certo, un lavoro serio non mi si addiceva, insomma non sarei stato credibile! Allora qualcuno mi disse “pirata!!” e io pensai: “bella lì! Pirata! Donne, rum, avventura e il tutto senza fatiche” e fu così, con questo pensiero in testa, che cercai un imbarco, e dopo giorni e notti trascorse al porto tra chi come me non aveva ancora trovato la sua barca, alla fine la trovai! “THE MAMMOLET ON THE SEA”, mi colpì subito per il suo equipaggio non convenzionale.

Mi imbarcai a maggio di una decina di anni fa, ormai non ricordo più con precisione quando, ma non dimenticherò mai come fu arrivare e decidere di restare.

Vi confesso che l’inizio non fu di certo semplice, abituarsi alle regole di bordo non è facile e anche solo svegliarsi in orario per la colazione o per i turni di guardia mi richiedeva una fatica inspiegabile, pensate addirittura che c’erano mattine in cui mi mangiavo anche il tabacco per far salire la temperatura del termometro e così restare a letto a dormire, ma i miei compagni non ci cascavano facilmente, in fondo ci erano passati anche loro! E poi ragazzi c’era il mal di mare, giorni in cui la nausea, il freddo, disturbavano il sonno.

Le giornate non passavano mai e quando, invece, riuscivo a dormire i brutti sogni non mi lasciavano stare e finivano per svegliarmi col malumore…come mi mancava la terraferma.

Ma qualcosa comunque mi diceva che avevo trovato la strada giusta, il modo di realizzare qualcosa nella mia vita e a confermare questo c’era tutto l’equipaggio; c’era chi, come me faticava, ma c’era anche chi continuava a spronarci, a insegnarci come muoverci a bordo, e a rassicurarci che avremo presto acquistato il “piede di marino”.

E quel giorno arrivò, col tempo infatti cominciai a muovermi a bordo senza cascare, senza nausea a tutte le andature e anche quando avvertivo dei sintomi negativi, sapevo che il capitano e i miei compagni erano pronti a starmi vicino.

Mi accorsi finalmente che sulla “Mammolet on the sea” non c’era un equipaggio di pirati come gli altri, nonostante alcune facce potessero ingannare, noi non eravamo pirati d’assalto, non derubavamo le altre navi, ma cercavamo di arricchirci attraverso il viaggio, con lunghe navigazioni in equipaggio e con ciò che il mare poteva offrirci. Quando incontravamo le altre imbarcazioni, pirati o marinai che fossero, cercavamo di condividere la nostra esperienza, raccontandoci le nostre storie, che spesso erano ambientate in terre lontane e così facendo cercavamo di coinvolgerli in navigazioni in flottiglia. A volte scendevamo anche sulla terra ferma e ci facevamo riconoscere con il nostro modo di festeggiare, senza bisogno di rum e donne.

Mi accorsi fin da subito che le lunghe traversate in gruppo ci davano una forte vitalità, nei momenti a terra e che tutto quello che avevo pensato di vivere in un’esperienza da pirati non mi importava più; capì che non esistono pirati cattivi, ma solo marinai disposti a mettersi una maschera che non gli si addice.

Se raccontassi tutto ciò che successe a bordo in quegli anni, probabilmente non ci credereste neanche, come quella volta che Spelapatate per vedere se c’erano perdite di gas nella bombola ci mise l’accendino, o quando tra risate e lacrime stavamo per perdere Sinusite affogato da una caramella, o ancora quando Er Tisana vide morire davanti a sé centinai di granelli di riso scolandolo per la prima volta e non centrando la ciotola, nessuno riuscì ad aiutarlo perché l’unico suono comprensibile che riusciva ad emettere era qualcosa come “gnagna!” e potrei andare avanti così all’infinito raccontandovi dei miei compagni… C’era ad esempio Clark, esperta nei modi più assurdi per evitare i lavori, intellettuale di filosofia e cosmetica, poi c’era Lui un incrocio tra una scimmia urlatrice tabagista e un astrofisico nucleare, solitario ed esperto di psicologia inversa e controllo della mente. Insomma eravamo un gruppo di individui a dir poco singolari ma che insieme riuscivano a creare una “ciurma” niente male, ognuno con le sue responsabilità.

Bhè, sono passati diversi anni da allora, non sono più in mare, ma mi ricordo ancora tutti i miei compagni con affetto e gratitudine e quel periodo come il più importante della mia vita… e anche se ora vivo sulla terra ferma questo mio viaggio non finirà mai!!!

 

 

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