Scritto da Bianca Maria Pagani

Nico l’aveva detto : “Vedrete come sarà in montagna” e poi aveva aggiunto :” Vi chiedo solo, quando percorrerete quelle strade, di tenere a mente questa domanda : E quando piove?”

E così, la mattina seguente, siamo partiti con i ragazzi di Casa Juan Pablo, per raggiungere la Scuola di montagna.
Passato El Paraiso iniziano le strade sterrate, di cui ci parlava Nico, sempre più strette, ad ogni tornante. Il panorama è bellissimo, da togliere il fiato. Ad accoglierci ci sono le nuvole, lì, davanti a noi, bassissime, Dal cassone del pick up si sente la voce di Carlos che grida:” Avete visto? sono scese le nuvole sulla terra”.
Siamo circondati da piantagioni di caffè che ricoprono le montagne nella loro interezza, fianco per fianco, dirupo per dirupo, fittissime.
Fernando abbassa la musica e dice:” Quando tornerete a casa, ogni volta che vi preparerete un caffè, pensate a quanto sia duro il lavoro dei contadini dell’Honduras”. Ecco, un altro motivo per essere grata a questo Paese, ed un altro ricordo indelebile che mi tornerà alla mente ogni volta che mi berrò uno dei miei millemila caffè quotidiani.
Arriviamo vicino alla scuola, lasciamo il pick up e percorriamo un tratto a piedi.
La scuola è in salita, la strada per raggiungerla è fatta a scale, e sembra la metafora della vita che sta aspettando i bimbi che stiamo per incontrare.
Ciò che mi rimarrà dentro, oltre alla loro semplicità disarmante, sarà la loro felicità tangibile mentre gli viene detto che da un piccolo rotolo di cartone potranno creare un portapenne a forma di gufo e che da un cerchio di fil di ferro ed un pezzetto di carta velina nascerà un aquilone ed il loro entusiasmo crescente nello scoprire che potranno portarli a casa.
Non saprei dire quanto di me abbiano lasciato quei lavoretti; loro, invece, mi hanno invaso il cuore.
Prima di andarmene ecco altri due momenti che mi trafiggono l’anima e si fanno spazio dentro di me, per non lasciarmi più.
La maestra che dice di essere felice per la giornata trascorsa insieme perché i suoi non sono semplici alunni sono “mis amores” e si meritano tutto il bello ed il buono possibile e, poi, Carlito, un bimbo del quarto anno che, timidamente, mi chiama da parte e mi regala la sua penna, quella con cui, poi, scriverò il diario di bordo e mi accompagnerà per tutto il viaggio, e mi dice che l’ha fatto perché, così, non mi dimenticherò più di lui. Ma, già da quel momento, sono sicura che non mi dimenticherò di nessuna delle persone incontrate sul mio cammino in Honduras.
Torniamo sul pick up e ripercorriamo la stessa strada stretta, a strapiombo sulle piantagioni di caffè e rivediamo le case, fatte di mattoni di fango e ricoperte da un tetto di lamiera, appoggiate precariamente su terrazze di terra scavate nella montagna.
Le guardo con occhi diversi, perché adesso conosco chi abita lì dentro. Da qualche porta si vede sbucare un aquilone e mi tornano alla mente le parole di Nico: “tenete a mente questa domanda: e quando piove?”
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