Scritto da Benedetta Campia

Lui è piccolo, rosicchia un panino che tiene tra le mani. Ci guarda, sarà il primo di una lunga serie di sguardi lunghi e increduli che accompagneranno le nostre giornate e i nostri passi sulle strade rosse e marroni. Ci guarda attento e chissà cosa pensa. Noi sorridiamo, salutiamo senza sapere ancora bene in che lingua farlo, non ci aspettiamo niente da lui, forse neanche una risposta. Dobbiamo ancora capire bene dove siamo, da quanto, per quanto. Una risposta infatti non arriva, forse non ci ha capite, forse non sa cosa dire. Però lui, direttamente, una cosa la fa. Lui, piccolo con il suo panino piccolo, stacca un pezzetto unto di quella cosa buona che chissà come è riuscito a prendere, e me la da, la avvicina alle mie mani perchè anch’io possa assaggiarla. Lui, che magari fino a sera non mangerà più niente e che di me non sa niente, che mi sembra venga da un pianeta diverso anni luce dai bambini grandi come lui che vivono nella mia città d’Europa dove dividere ciò che è proprio con altri è così faticoso. Invece lui lo fa. Poi si accorge che siamo tante, siamo cinque, e allora lui continua a staccare pezzettini, cinque pezzettini. Adesso ognuna ha il suo, tranne lui che tra le mani, ormai, ha solo l’unto e qualche briciola attaccata alle dita. Non ha più il suo panino, la sua cosa buona, ma non ha dovuto pensarci un attimo, lui ci ha viste, volti nuovi in una terra nuova, e ci ha dato il suo unto benvenuto, senza dire una parola. Nessuna parola ci ha dato in quella strada polverosa di città, ma tutto ciò che aveva.

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